Quando Tarkovskij visse in Italia tra spionaggio e capolavori

Oggi al Rossetti si proietta “The Gift – Il Dono” di Giuliano Fratini  documentario sulla vita del grande regista fuggito dall’Unione Sovietica



Un’intera troupe cinematografica con tanto di galosce immersa in acqua fino alle caviglie. La macchina da presa che compie un lungo carrello a inquadrare una scena iconica, con il protagonista che cerca di depositare una candela accesa in una piscina termale proteggendo la fiamma col cappotto affinché non si spenga. Siamo dalle parti del mito, perché “Nostalghia”, girato in Italia da Andrej , Grand Prix a Cannes nel 1983, aveva in sé tutta la lacerazione esistenziale patita dal regista russo, ostracizzato in patria. In quegli anni si consumava la frattura definitiva con il suo Paese, tanto che lo stesso protagonista è l’alter ego dell’autore, diviso, sofferente per la libertà artistica negata e il richiamo struggente della famiglia. Tarkovskij decise di non tornare mai più in quella Russia cui era visceralmente legato. Il conseguente esilio italiano è un capitolo ancora poco conosciuto nonostante si tratti di uno dei miti cinematografici di tutti i tempi e che il regista italiano Giuliano Fratini ha perciò voluto indagare attraverso un documentario: Trieste film festival proporrà oggi in anteprima nazionale, fuori concorso, il suo “The Gift – Il Dono” (ore 18 al Rossetti) con l’autore in sala a presentarlo. «Credo di aver visto tutti i documentari che sono stati fatti su Tarkovskij – spiega Fratini – ma non ho mai trovato in alcuno quello che io ho cercato di far emergere nel mio, ossia quanto fosse legata la biografia spirituale e umana del regista alle vicende politiche in cui era immersa. Cercavo i sentieri della mia infanzia, itinerari eminentemente tarkovskijani – gli incroci della mia biografia con quella del soggiorno tiburtino di Tarkovskij – e ho trovato anche una storia di spionaggio. La mia scelta morale e politica è stata quella di lasciarla».

Il film alterna voci illustri, di chi vicino al maestro ha lavorato fianco a fianco: tra i tanti, il direttore della fotografia Giuseppe Lanci, Renzo Rossellini, Luciano Tovoli, l’aiuto regista Norman Mozzato, Krzysztof Zanussi, Ali Chamraev. «Già mentre girava “Nostalghia” aveva il desiderio di realizzarne un altro in Italia – racconta quest’ultimo, regista e amico – e voleva far venire la famiglia. “Fateli venire” , scriveva. Ma la sua famiglia era tenuta in ostaggio, e si trovavano sempre delle scuse per impedire loro di andarsene». L’insofferenza del regime era iniziata subito all’esordio con “L’infanzia di Ivan” , inasprita con “Andrej Rublëv” , censurato e per poco non sciolto nell’acido, incancrenita con la messa al bando definitiva di “Lo Specchio” . Ma dai messaggi che riceve a quel punto da amici e colleghi capisce che in Russia lo aspetta un’opposizione ancora più dura. «Hanno cercato di ostacolarlo impedendogli di andare a Cannes – racconta il figlio –. Era un segnale molto chiaro: non avrebbe mai più potuto lavorare in patria». Tarkovskij, cupo, si rifugia in una località segreta, San Gregorio da Sassola, borgo medievale nei pressi di Tivoli. Da quel momento in poi sarà un esule, “traditore della patria” nei rapporti riservati del Kgb, alcune delle cui spie si riveleranno suoi grandi ammiratori, ma libero artisticamente. Nel soggiorno italiano scriverà cose importantissime tra cui la sceneggiatura di “Sacrificio” , summa della sua arte arrivata, appunto, come “un dono” per tutti gli estimatori e i registi ancora oggi da lui influenzati. Come osserva Giuseppe Lanci, «non era uno di tante parole, né dava spiegazioni sui suoi film. Se gli chiedevi il significato, rispondeva: “Ti ha dato qualcosa, ti ha emozionato? Non c’è bisogno di sapere altro” ». —



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