Quel cadavere nel baule in via Valdirivo ispira a Svevo «L’assassinio di via Belpoggio»

IL RACCONTO
pierpaolo martucci
«Abbiamo per telegramma da Budapest: il delitto della via Valdirivo che costò la vita al povero Grimme è punito. Szimits fu impiccato questa mattina alle 9». La notizia compare sull’edizione del Piccolo della sera del 6 ottobre 1888. L’edizione del 7 ottobre riporta una lunga descrizione: sul palco l’agonia del condannato era stata “orribile (…) I medici giudiziali visitarono ben tre volte il corpo, sempre trovandolo vivo. Appena dopo 12 minuti i dottori constatarono il decesso”. La raccapricciante esecuzione chiudeva una fra le più efferate vicende delle cronache triestine di quei tempi.
Il 17 marzo di quello stesso anno, nel pomeriggio, un commissario di polizia accompagnato da parecchi agenti si era presentato dall’affittacamere Maria Cracovitz, al n.15 della centralissima via Valdirivo, per ispezionare la camera dove aveva alloggiato per parecchi mesi Giovanni Szimits. Costui, “giovane quieto e tranquillo”, era partito alla metà di febbraio, lasciando un mese di affitto anticipato e un baule chiuso a chiave, da cui emanava “un fortissimo odore di acido fenico”. Chiamato un fabbro, aperto il baule, “un raccapricciante spettacolo si offerse”. Dentro “giaceva rannichiato, con le ginocchia piegate, il cadavere d'un uomo in istato di avanzata putrefazione. (…) cosparso di acido borico, il corpo era qua e là coperto di muffa”.
Il morto era Ermanno Grimme, un giovanissimo praticante della ditta Eisner, scomparso misteriosamente il 12 gennaio, dopo aver riscosso 675 fiorini per pagare un creditore della ditta.
Le autorità erano state allertate da un telegramma della polizia di Budapest, che riferiva che “certo Szimits che aveva abitato in via Valdirivo 15”, arrestato per furto “aveva pure confessato di aver commesso a Trieste un omicidio nella persona di un impiegato della ditta Eisner”. Le cronache successive riportano i dettagli di una vicenda futile e feroce. Szimits, ungherese di buona estrazione borghese, giunto a Trieste per lavorare in una ditta di agrumi, si era messo in commercio in proprio, trovandosi però presto oberato dai debiti. L’incontro casuale col Grimme, conoscente occasionale, che reca con sé una grossa somma gli ispira “un pensiero diabolico”. Attirato con un pretesto il giovane nella sua camera, lo uccide con un coltello da tasca e lo nasconde in un baule, comprato appositamente. Nei festini di carnevale sperpera in breve il frutto della rapina, poi parte per Budapest, dove in seguito verrà fermato per altri reati. E là si svolgerà il processo, concluso con la pena capitale. Sin qui la storia.
Ma la vicenda presenta un interesse particolare: potrebbe aver contribuito a ispirare “L’assassinio di via Belpoggio”, primo racconto significativo di Italo Svevo, pubblicato nel 1890 con lo pseudonimo di Ettore Samigli. A parte i richiami letterari a Dostojevsky e a Zola, nella trama vi sono diversi punti di contatto col fatto di via Valdirivo, a iniziare dal titolo cronachistico che colloca il delitto nel cuore di Trieste.
Il protagonista sveviano, Giorgio, svogliato e indolente, lavora come facchino ma ha origini e velleità borghesi e sogna di cambiare vita. Antonio Vacci, un conoscente, gli mostra imprudentemente una grossa somma, provento di eredità, e d’impeto Giorgio, per impadronirsene, lo accoltella al cuore con “un colpo formidabile”; anche Szimits uccide l’impiegato con un fendente al petto.
In un primo momento Giorgio medita di fuggire in Svizzera, mentre Szimits torna in Ungheria. Il personaggio di Svevo, ossessionato dalla paura di essere scoperto, segue giornalmente le indagini sul quotidiano Piccolo Corriere (trasparente allusione!). A un certo punto pensa di veder per strada la sua vittima; Szimits narra di aver avuto “davanti agli occhi giorno e notte” lo spettro di Grimme. Al termine della novella, il sospettato, appena fermato, crolla e rende piena confessione. Lo stesso fa Szimits a Budapest, nella realtà.
E a Budapest, dopo l’impiccagione, come riporta Il Piccolo “la folla ruppe il cordone di truppe che circondava il patibolo e fu una ressa per vedere da vicino e toccare il cadavere”.
“Dunque uccidere era cosa tanto facile?” È la domanda che apre il racconto di Svevo.
(I racconti precedenti sui cold case triestini sono stati pubblicati nelle edizioni del 28 aprile 2019, 4 febbraio 2019, 25 settembre 2018, 9 luglio 2018)
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