Quel no di Svevo all’editor è una rarità sepolta negli archivi letterari digitali

TRIESTE. Con quella visione apocalittica a chiudere il suo romanzo più famoso, Svevo il visionario aveva intuito la bomba atomica, ma di sicuro non la nascita di internet.
Eppure è stata la rete a togliere ogni dubbio e ad attribuire in toto e solo a lui il finale della ‘Coscienza’ che finora, in mancanza di manoscritti dell’autore, era appeso a un dubbio e a una lettera malandrina. Quella di Attilio Frescura, al tempo editor della Cappelli, casa editrice con la quale Svevo pubblicò, a pagamento, il suo terzo romanzo. In mano agli studiosi c’era lo scritto di Frescura che, senza troppi giri di parole, suggeriva a Svevo che il finale del romanzo andava rimaneggiato: “dia una conclusione logica al racconto, che così è senza”.
Ruvido e supponente, questo Frescura, giornalista e scrittore oggi dimenticato, ma che in quegli anni godeva di un certo credito, anche come autore di un ‘Diario di un imboscato’, racconto antiretorico sulla sua esperienza nella Prima guerra mondiale. Ma Svevo aveva poi accolto le critiche dell’editor? E in quale misura?
A risolvere il giallo letterario è stata una lettera dell’autore triestino, ritrovata in un archivio digitale di Fiesole. La scoperta è merito di una studiosa, Beatrice Stasi, che da casa sua, a Lecce, dove stava sfogliando online l’inventario della Fondazione Primo Conti, ha fatto letteralmente un balzo sulla sedia quando, rovistando nel fondo di Bino Binazzi, ai tempi giornalista al Resto del Carlino, ha trovato la lettera con cui Svevo, il 15 febbraio 1923, rispondeva a Frescura. “Non se ne parla, le ultime pagine della ‘Coscienza’ non le tocco”, scrive il romanziere triestino.
La storia gli ha poi dato ragione. Quelle pagine in cui immagina la fine del mondo, quasi prefigurando l’invenzione della bomba atomica, in cui un uomo crea un potente ordigno, più potente di qualsiasi altro esplosivo che sia stato creato dall’ingegno umano e un altro uomo, più malato del primo, lo ruba e lo fa esplodere e la terra diventa una nebulosa che vaga nel cosmo, sono tra le più potenti della letteratura del Novecento. Ma fino ad oggi mancava la certezza che fosse tutta farina del sacco di Svevo.
La prova stava là, nel Fondo Binazzi conservato a Fiesole, a cui Stasi è arrivata grazie alla rete degli archivi digitali. Una risorsa quanto mai preziosa per gli studiosi, ma anche per tutti i curiosi che vogliono leggere di persona le carte autografe conservate in archivi e biblioteche. Uno delle risorse più preziose è quello del sito Carte d'autore online, in cui si possono consultare otto archivi letterari italiani, che presentano manoscritti, lettere, foto, filmati, con le relative schede d'archivio (per un totale di circa 90.000 schede archivistiche, 76.000 immagini, 14.000 trascrizioni), con possibilità di un'ampia gamma di ricerche sui dati e sui testi.
Tra questi c’è l’Archivio del Novecento in Liguria, in cui sono state riversate le carte di Lucia Rodocanachi (Trieste 1901-Arenzano 1978), che comprende oltre 2.700 lettere di scrittori e artisti italiani e stranieri inviate all'intellettuale e traduttrice triestina stabilitasi ad Arenzano negli anni Trenta. Franco Contorbia, già docente di letteratura italiana all’Università di Genova e uno degli artefici del progetto per la costituzione di un archivio digitale del Novecento letterario italiano, una quindicina di anni fa aveva curato un volume (‘Lucia Rodocanachi. Le carte, la vita’, Società editrice fiorentina) che presenta un’accurata analisi delle lettere inviate a Rodocanachi da molti protagonisti della vita culturale italiana come Montale, Vittorini, Gadda, Bazlen.
A proposito del ‘bracco letterario’ triestino, Contorbia si dice sicuro che carte di Bazlen che erano appartenute a Silvana Radogna, psicoanalista discepola di Ernst Bernhard, siano passate in mano a Roberto Calasso, ma l’interessato non ne ha mai parlato.
Chissà quante migliaia di documenti, carte e manoscritti che farebbero la gioia degli studiosi dormono ancora nel fondo degli armadi. Come, per tornare a Svevo, le sue lettere di proprietà dell’editore Gallimard, che si guarda bene dal metterle in rete. Ma pane per i ricercatori non manca e come dimostra il caso della lettera ritrovata da Stasi, anche gli archivi che sono sotto gli occhi di tutti possono riservare delle gustosissime sorprese.
Con internet chiunque può divertirsi a fare l’investigatore culturale. Ad esempio basta andare su Manus, un database che comprende la descrizione e le immagini digitalizzate dei manoscritti conservati nelle biblioteche italiane pubbliche, ecclesiastiche e private, e provare a sbizzarrirsi.
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