Quella mummia? Sì, è Nefertari

di EDOARDO MARCHI
Forse erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno aveva chiaramente detto che quei resti potessero appartenere alla regina Nefertari. Analisi svolte dagli esperti della Medicina legale dell'Università di Torino su femore, rotula, tibia e parti del ginocchio, conservati al Museo Egizio del capoluogo piemontese, hanno stabilito che su 16 caratteristiche 14 coincidono con quelle del profilo della “grande sposa reale” di Ramesse secondo, uno deoi faraoni più potenbti dell’antico Egitto, nata a Akhmim nel 1295 avanti Cristo e morto a Abu Simbol nel 1255 a.C.
In una teca del Museo Egizio ci zsono le gambe mummificate che sono state al centro della ricerca di un team di studiosi internazionali, che nei giorni scorsi ha pubblicato sulla rivista scientifica “Plos one” un lungo articolo dove si spiega quali e quanti elementi avvalorino questa tesi: la lunghezza delle ossa, il tipo di malattie mostrate dalle analisi dei reperti e anche la corrispondenza di età con quella in cui si stima sia morta la favorita del faraone.
«Non c'è stata la possibilità di fare il test del Dna perché non abbiamo il corredo genetico di nessuno dei suoi parenti più stretti, ma 14 caratteristiche su 16 ci confermano che si tratta di Nefertari», spiega Raffaella Bianucci, ricercatrice della sezione di Medicina Legale dell'Università di Torino e dell'ateneo di Warwick in Gran Bretagna.
L'esperta ha firmato l'articolo insieme con l'egittologo Michael E. Habicht, che lavora per l'istituto di medicina evolutiva dell’Università di Zurigo, l'ex direttrice dell'Egizio Eleni Vassilika e altri ricercatori: «Si tratta di uno studio multidisciplinare dove si sono messe insieme diverse competenze per cercare di identificare di chi fossero i resti – racconta Bianucci – L'analisi è stata fatta direttamente al museo prima che l'allestimento fosse cambiato. Abbiamo preso in esame molti parametri e, anche se la certezza assoluta non può esserci, siamo convinti si tratti di Nefertari».
La tomba della regina, identificata con il nome in codice QV66, era stata scoperta ufficialmente ai primi del ’900 dall'archeologo biellese Ernesto Schiaparelli che, nel 1904, trovò la sepoltura già irrimediabilmente saccheggiata: «Il sarcofago di Nefertari, in granito rosa, era già stato distrutto in diverse parti – ricorda la ricercatrice –. Quel che ne è rimasto si può proprio ammirare all'Egizio di Torino, così come i calzari della regina e altre parti del suo corredo funerario che ci sono stati fondamentali per arrivare all'identificazione».
Anche la mummia era già stata smembrata e la spedizione di Schiaparelli, la Missione Archeologica Italiana che lavorò nella Valle delle Regine tra il 1903 e il 1905, riuscì a portare a Torino sono le gambe, proprio quel femore, quella rotula e quella tibia che ora si pensa siano di Nefertari.
«Secondo le nostre analisi si tratta di una donna tra i 40 e i 50 anni, l'età che aveva la regina al momento della sua scomparsa – aggiunge Bianucci –. In quella tomba non dovevano esserci altre donne di quella età. Purtroppo le analisi chimiche confermano che i reperti sono stati fortemente contaminati prima della scoperta ufficiale, e cioè quando furono smembrati i resti».
Il test del Dna si è rivelato poco utile proprio per l'elevata contaminazione dei resti che avrebbe falsato anche la prova al radiocarbonio che porterebbe a retrodatare la morte di 200 anni, cosa implausibile visto che sulla datazione della tomba non ci sembrano dubbi.
Uno degli elementi più forti a sostegno dell'ipotesi restano i sandali, realizzati con foglie di palma e papiro, che portano la sigla di Nefertari e fanno parte del suo corredo, e calzerebbero la misura delle gambe analizzate e conservate a Torino. I manufatti trovati sono tutti riconducibili al regno di Ramses II.
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