Quell’antico viaggio nel nostro corpo

GRADO. Non ci poteva essere contesto scientifico migliore per festeggiare, oggi a Grado nell’ambito di Lagunamovies, i 50 anni di un grande classico del cinema di fantascienza, “Viaggio allucinante” (“Fantastic Voyage”, 1966) di Richard Fleischer, con Stephen Boyd, Raquel Welch e Donald Pleasence.
Alle 21, alla Diga Sauro, la proiezione sarà infatti preceduta dall’incontro “Missione ricerca, pionieri del futuro” (moderato dal giornalista Pietro Spirito), con tre protagonisti della ricerca a Nordest: lo scienziato Mauro Giacca; il geologo e paleontologo Flavio Bacchia; e il chirurgo Giancarlo Tirelli.
L’originale odissea fantamedica (Oscar per scenografia ed effetti speciali), oltre a essere uno dei più popolari esempi di science-fiction, è il film didattico per antonomasia per illustrare l’interno del corpo umano. La vicenda è quella di alcuni medici che si fanno miniaturizzare per entrare, con la micronavicella Proteo, nel corpo di uno scienziato vittima di un attentato per salvargli la vita. E per arrivare al cervello e operarlo hanno solo un’ora.
Pare che il veterano regista statunitense Fleischer, già autore del kolossal “20.000 leghe sotto i mari” (1954), avesse voluto la gigantesca e accurata ricostruzione dell’organismo umano proprio per sensibilizzare i più giovani all’incredibile complessità del nostro corpo. E alcuni medici furono chiamati sul set a identificare i diversi organi per verificarne la verosimiglianza.
L’idea di partenza, basata su un racconto di Otto Klement e Jerome Bixby, deve molto al contrasto fra grandissimo e minuscolo della letteratura fantastica, da Omero a Swift, ma l’ambientazione fantabiologica la rende originale. Tanto che la Fox, produttrice del film, commissionò a Isaac Asimov un romanzo a partire dalla sceneggiatura di Harry Kleiner, che uscì sei mesi prima della pellicola (facendo credere erroneamente che il film fosse tratto da Asimov).
Il successo di “Viaggio allucinante” negli anni si misura anche dall’omaggio che ne fece il regista Joe Dante col suo quasi remake “Salto nel buio” (1987), dall’influenza su “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi” (1989) o dalla parodia de “I Simpson”. Se nella parte iniziale il film sembra un solido thriller fantaspionistico, dal momento della miniaturizzazione in avanti “Viaggio allucinante” diventa una sorprendente festa psichedelica di colori e forme, tappa fondamentale della fantascienza pop che precede di due anni il kitsch di “Barbarella” e i paesaggi mentali di “2001” di Kubrick. E poi quest’avventura medica intracorporea presto si trasforma in un claustrofobico incubo ricco di colpi di scena e suspense. Sono rimaste memorabili le sequenze più significative, l’attraversamento dei polmoni, del cuore, dell’orecchio. E naturalmente la scena in cui l’equipaggio maschile rimuove gli anticorpi dalla tuta della dottoressa Peterson alias l’esordiente americana Raquel Welch, fino a quell’istante illustre sconosciuta.
Paolo Lughi
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