Quelle domande proibite nell’Egitto cosmopolita aperto al resto del mondo

Il primo romanzo dello scrittore canadese Éric Chacour va alla ricerca delle radici dei genitori nati al Cairo

Marta Herzbruch
Lo scrittore canadese Éric Chacour
Lo scrittore canadese Éric Chacour

Già dalle prime righe di “Le domande proibite” di Éric Chacour (Guanda, traduzione di Luigi Maria Sponzilli, pagine 283, euro 19) si pone il dilemma di chi sia la voce narrante che si rivolge al protagonista dandogli del tu. E sarà infine proprio la scoperta dell'identità di questa seconda persona a dare un'inaspettata ed emozionante svolta alla narrazione di questo bel romanzo d’esordio di Éric Chacour, scrittore canadese.

“Le domande proibite” è ambientato al Cairo, in un Egitto cosmopolita e in divenire, negli anni cruciali tra la Guerra dei sei giorni, l’omicidio di Sadat e gli sconvolgimenti degli anni Duemila. Racconta di una comunità molto specifica, quella levantina del Cairo, “una città nella città”, composta per lo più da siriani, libanesi, giordani e palestinesi. Una comunità ben insediata in Egitto per molte generazioni; la loro lingua, prima dell'arabo, era soprattutto il francese, e «si riconoscevano nell'educazione europea dei greci, degli italiani e dei francesi».

I suoi membri erano per lo più di religione cristiana “provenienti da diversi riti orientali” e si consideravano una sorta di ponte tra l'occidente e l'oriente. E da quel particolare contesto provengono entrambi i genitori egiziani dell'autore, anche se si sono conosciuti a Montréal, dove Éric Chacour è nato. Laureato in economia applicata e relazioni internazionali, Chacour si è affermato nel settore finanziario. Con “Le domande proibite” ha vinto il Prix Femina des lycéens 2023 ed è entrato tra i 30 finalisti del Prix du roman Fnac 2023.

In questo suo primo romanzo, delicato, sensuale e impietoso, scritto senza fretta né pressioni esterne nell'arco di quindici anni, Chacour racconta la storia di un uomo che si è dovuto adattare ai dettami e alle aspettative della sua famiglia, diventando - come il padre – medico prima e sposandosi poi. Il peso delle convenzioni non può però nulla quando Tarek si innamora di Alì, giovane prostituto, figlio di una sua paziente malata del morbo di Huntington. Il medico si prende cura di lui, lo fa suo assistente prima nel dispensario per i poveri che ha fondato alla periferia del Cairo e poi nel suo studio medico.

Il loro rapporto suscita inevitabilmente scandalo. La giovane moglie, Mira, sembra dissolversi nella mestizia “rassegnata senza che si sia mai capito né come né perché. La dolcezza diffidente, il volto spento nel timore di illuminare i solchi scavati dal disinganno.” La madre di Tarek, che ha preso le redini della casa dopo la morte del marito, è dura, inflessibile. La tata Fatheya è complice e depositaria di tutti i segreti. Quando l'infamia rischia di esplodere, la famiglia fa quadrato per salvare le apparenze. A Tarek non resta che l'esilio in Canada e il ripianto per la perdita dell'amante che pensa morto.

Ma l'amante è davvero scomparso? Di chi è allora la voce che ci parla? Il libro è stato sapientemente descritto come un “romanzo poliziesco poetico”. In realtà l'autore riesce perfettamente a creare la tensione tipica che si trova nei romanzi polizieschi, e l'uso della seconda persona gioca un ruolo fondamentale in tutto questo.

Il lettore è coinvolto nell'indagine, perché cerca di scoprire chi è il narratore che gli si rivolge dandogli del tu. La soluzione del giallo, tanto commovente quanto inaspettata, lo legherà per sempre a chi sta tentando di ristabilire legami spezzati, parole non dette, identità negate, all'esigenza di riannodare i fili del passato a un – altrimenti - irrisolvibile imperativo esistenziale. —

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