Quindici direttori della fotografia raccontano la loro Hollywood



Per una curiosa coincidenza, mentre a Spilimbergo si celebravano “Le giornate della luce”, che hanno chiamato a raccolta nomi di punta del mondo cinematografico per discorrere dell’arte di illuminare i film, è uscito in libreria il volume “I maestri della luce. Conversazioni con i più grandi direttori della fotografia”, a cura di Dennis Schaeffer e Larry Salvato (Mimimum Fax, 595 pagine, euro 22). Una raccolta di interviste comparsa per la prima volta nel 1984, in piena era analogica, ripubblicata oggi con lo stesso intento di allora: raccontare, attraverso le esperienze dei protagonisti, il lavoro del direttore della fotografia, “molto più - spiega il cinematographer Mario Tosi - che realizzare belle immagini”.

Se da un lato si tende comunemente a considerare il film come l’opera del regista, trascurando o comunque mettendo in secondo piano i professionisti che al suo fianco concorrono a “scrivere” il film e a definirne l’estetica e il linguaggio, è altrettanto diffusa l’idea che quello del direttore della fotografia sia un ruolo più da “artigiano” che da “artista”. Eppure, si può immaginare cosa sarebbero stati “Il Padrino” senza i chiaroscuri e le luci notturne di Gordon Willis o “Apocalypse Now” senza le esplosioni di luci e fiamme orchestrate da Vittorio Storaro? Si può essere certi che “Il cacciatore” di Cimino sarebbe ugualmente passato alla storia senza la maestosa concertazione di colori di Vilmos Zsigmond, mago dell’immagine in altri film capitali come “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “I cancelli del cielo”, “Il lungo addio”, “Un tranquillo weekend di paura”, “Blow Out” e tanti altri?

L’elenco potrebbe continuare all’infinito. I quindici direttori della fotografia che si raccontano in questo volume, da Nestor Almendros a Laszlo Kovacs, da John Alonzo a Billy Williams, passando per i già citati Willis, Storaro e Zsigmond e altri, hanno contribuito a definire l’immaginario filmico di Hollywood e non solo. Ciascuno di essi racconta i segreti del proprio mestiere, le imprese più ardue, i rapporti con i cineasti con cui hanno lavorato, ripercorrendo al tempo stesso le stagioni più fertili della storia del cinema, dalla Nouvelle Vague alla New Hollywood, dal cinema d’autore italiano a quello di genere americano. Un volume che a trent’anni dalla sua prima pubblicazione, dopo l’avvento del digitale che ha rivoluzionato tutto in termini estetici e pratici, nulla nel principio di costruzione dell’immaginario, ha assunto i connotati di un imprescindibile “classico” destinato a tutti gli appassionati cinefili. —

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