RadioZastava lancia il terzo disco «L’amaro destino degli Insetti»

Il gruppo friul-balcanico-goriziano sarà in concerto il 18 gennaio all’Hangar Teatri Hanno aperto la cerimonia funebre per Moira Orferi. «Ma il balkan oggi ci sta stretto»



«Veniamo dal caos dei nostri tempi e abbiamo una visione piuttosto nichilista e apocalittica, la nostra società sta andando in picchiata libera verso il nulla, non prevede nessun tipo di sana socialità, di ribellione, essere insetti per noi significa essere apatici, accettare supinamente le imposizioni di un sistema che è veramente subdolo e in questo la rete sta facendo dei danni, brulichiamo riempiendo i centri commerciali, accettiamo lavori sempre più degradanti per spendere i soldi in cose futili, manca empatia, ogni insetto pensa a se stesso. È un amaro destino».

"Insetti" è il nuovo album dei RadioZastava, terzo capitolo discografico della loro storia cominciata nel 2005. Hanno suonato in tutta Europa, condiviso il palco con Kultur Shock, Boban Markovic, Emir Kusturica e Goran Bregovic, aperto la cerimonia funebre per la regina del circo Moira Orfei, la loro musica è stata scelta per film come "Easy" di Andrea Magnani e il visionario kolossal marocchino "Catharsys or the Afina tales of the Lost World" di Yassine Marco Marroccu (grazie a cui sono stati recentemente premiati per la migliore musica originale al Tangeri Film Festival). Saranno in concerto a Trieste, città da cui in parte provengono, il 18 gennaio alle 20.30 all'Hangar Teatri.

«Siamo geograficamente ben distribuiti - racconta Leo Virgili (trombone, theremin, chitarre) - tra friulani, balcanici, goriziani (Davide Cej alla fisarmonica, Predrag Pijunovic al tapan, Nico Rinaldi al sax e Stefano Bragagnolo alle percussioni) e ben tre triestini: Gabriele Cancelli alla tromba, Walter Grison al sax e Roberto Amadeo al basso».

Quasi un collettivo?

«Abbiamo cominciato suonando in strada e per fare tanto rumore dovevamo essere numerosi. Col passare degli anni il nostro suono è cambiato e ci siamo avvicinati all'organico di una band rock o jazz, però abbiamo un modo di lavorare assieme dal punto di vista creativo, ognuno porta in dote qualcosa, chi viene dal jazz, chi dall'elettronica o dal folk, il rock, il punk, la balkan e finalmente nel disco nuovo c'è dentro tutto questo».

Il singolo "O.C.P.C.P.C." ha sfumature quasi krautrock.

«Vi faccio notare che il titolo è in triestino: "oci pici pici" (occhi piccoli piccoli). È il brano più semplice e orecchiabile, il nostro singolone, ne faremo anche il video».

I musicisti di solito inorridiscono alla definizione "world music". Voi?

«Perché vuol dire tutto e niente, è musica popolare, ogni popolo ha la sua, l'etichetta world la puoi applicare a qualsiasi cosa appartenente al pianeta terra, per noi è stato un po' un traino e un po' un limite». Dite: "siamo lontani dai cliché degli zingari felici con le galline nel cortile"».

Quindi, neanche balkan?

«In passato abbiamo collaborato con Bregovic e Kusturica in maniera proficua, ma oggi il balkan ci sta stretto, tentiamo di proporre una nuova identità che va al di là dei generi».

Una band così forte dal vivo come ricrea la magia in studio?

«Per questo album abbiamo capito che l'unico modo per mantenere quell'immediatezza è registrare quasi tutti i brani in un'unica session dal vivo in studio e abbiamo ritrovato quell'alchimia dei live che non eravamo mai riusciti a replicare prima».

Vi siete affidati a un produttore?

«Otto teste anarchiche come le nostre faticherebbero ad ascoltarne uno, però dobbiamo ringraziare il triestino Daniele Dibiaggio (Lademoto Records, Al Castellana), splendido e gentilissimo, che è stato il nono membro del gruppo, ha mixato il disco con noi e ci ha aiutati». —



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