Righi, il silenzio dipinto a colori

di CRISTINA FERESIN
«Una personalità forte e risoluta, talora arrogante e dispotica, consapevole del proprio valore e capace di scelte drastiche, nell’arte e nella vita». Parole precise e calzanti quelle usate da Roberto Curci nell’introduzione al volume di Viviana Novak “Federico Righi. Colori di una vita”, biografia edita nel 2008 a cent’anni dalla nascita di uno dei più autorevoli tra gli artisti triestini moderni.
A ricordare Righi ora, dopo quasi un decennio dall’esposizione al Museo Revoltella e al Centro Civico di Cervignano, la Galleria “La Fortezza” di Gradisca d’Isonzo, la Galleria “Spazzapan” e la Biblioteca Statale Isontina propongono “Omaggio a Federico Righi”, progetto che si è concretizzato grazie alla disponibilità di numerosi collezionisti privati che hanno prestato con generosità le proprie opere.
La rassegna, che si snoda tra Gradisca (La Fortezza e Galleria Spazzapan, fino al 4 ottobre) e Gorizia (Biblioteca Statale Isontina, dal 17 al 27 ottobre) non intende essere un’antologica, ma piuttosto una panoramica sulla copiosa ed articolata produzione di Righi, che ha caratterizzato l’ultimo scampolo del “periodo romano” (a Roma risiedette dai primi anni Cinquanta all’inizio degli anni Settanta) fino agli anni di Saciletto di Ruda (dal 1970 al 1986) presso Villa Braida, trasformata dall’artista in Centro internazionale di arte grafica.
Le opere in esposizione rispecchiano, quindi, un ventennio in cui Righi si dedicò con particolare impegno alla grafica, attività che aveva già avviato a Roma e che gli aveva fruttato diverse collaborazioni prestigiose e riconoscimenti a livello internazionale, senza però dimenticare la pittura ed arricchendo la sua produzione di ceramiche, collage, sculture realizzate assemblando «ferri corrosi che danno vita a figure animalesche», pelli dipinte.
«La pittura di Righi si colloca sotto il segno di un alto e rarefatto silenzio, di una tensione lirica estrema – annotò Garibaldo Marussi – potremmo parlare anche di realismo in senso lato, di aderenza cioè a temi fondamentali che ricorrono attraverso i secoli nell’arte italiana».
Temi che Righi replicò nel tempo sempre con rinnovato vigore: arlecchini, pifferai, suonatori, giocolieri, pastori, animali, maschere ironiche e figure popolari, piccole scene di vita quotidiana, la figura femminile, a cui aggiunse, il nido e le sue creature, motivo che lo avvicina sempre più alla natura.
Nato a Trieste nel 1908, trascorse l’infanzia a Spalato. Con la fine della Prima guerra mondiale, la famiglia si traferì dapprima a Trieste e successivamente a Gorizia. Autodidatta, si dedicò interamente alla pittura fin dal 1932.
All’inizio aderì al Futurismo, ma presto se ne staccò e definì una propria maniera, risultato di appassionati studi dell’arte primitiva e della pittura del Quattrocento italiano.
Agli anni Trenta risale il suo rapporto d’amicizia con Virgilio Giotti, Umbro Apollonio e Marcello Mascherini. Nel 1942 partecipò alla XXIII Biennale di Venezia dove conobbe De Pisis e Vedova. Nel ’48 e nel ’50 partecipò nuovamente alla Biennale di Venezi. a, espose a Milano, Praga e alle Quadriennali romane.
È del ’51 il suo primo viaggio a Parigi (vi ritornerà del 1956), dove incontrò l’arte di Picasso «stella polare di tutta la sua navigazione pittorica», espressione licenziata da Giulio Montenero nel suo intenso articolo, scritto in occasione della scomparsa dell’artista. Righi perseguì, però, sempre una sua cifra personale, ancora più evidente con il passare degli anni.
Sempre agli anni ‘50 risale l’esperienza come scenografo al Teatro comunale Verdi di Trieste e il Teatro Nuovo, e come decoratore su navi da crociera, nonché il suo trasferimento a Roma. Sul finire degli anni 60, insieme alla compagna Rosetta (Ossi) Czinner e all’amico fotografo Baldas, acquistò la villa dei conti Braida di Saciletto che trasformò in un centro di arte grafica.
Il Centro internazionale di arte grafica, dagli anni ’70 fino alla metà degli anni ’80, divenne un vivo polo di attrazione culturale dove, oltre agli artisti regionali, esposero nomi di fama internazionale come De Chirico, Saetti, Campigli, Sironi, Matta, Maccari, Dova, Afro, Tomea, Music, Vedova e altri.
Continuò ad esporre fino all’inizio degli anni ’80, in coincidenza con l’inizio della sua malattia. Nel ’83 realizzò una mostra personale con più di 200 pezzi nella villa di Saciletto intitolata “Personae e metamorfosi”.
Gli ultimi attimi di una vita intensa e piena di passione per l’arte, ma non solo, li passò a Trieste, dove morì il 26 aprile 1987.
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