Ritrovata a Tblisi la Donna di Sbisà triestino d’Europa

Oggi alle 18 la giornalista e critica Ada Masoero presenta la monografia dedicata al pittore
Di Marianna Accerboni

di Marianna Accerboni

Uno sguardo sul '900 triestino, che si fa nazionale: si presenta così la sedicesima monografia della Collana d'Arte della Fondazione CRTrieste, dedicata al pittore, scultore e ceramista Carlo Sbisà (Trieste 1899 - 1964) nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa.

Il volume è introdotto dal presidente della Fondazione Massimo Paniccia, che sottolinea tra l'altro come nel secondo dopoguerra la creatività dell'artista abbia subìto una svolta, poiché i canoni estetici ispiratori erano entrati in crisi, determinando l'abbandono della pittura in favore della scultura e della ceramica. La curatela è di Vania Gransinigh, conservatore dei Civici musei e responsabile di Casa Cavazzini di Udine: un lavoro svolto con grande passione e competenza come afferma il curatore della collana Giuseppe Pavanello, che rileva anche l'importanza cruciale della collaborazione della famiglia, in particolare della moglie Mirella Schott, artista lei stessa.

A presentare la pubblicazione all'Auditorium del Museo Revoltella ci sarà oggi alle 18, con Renzo Piccini, vicepresidente del Consiglio di mmministrazione della Fondazione, Pavanello, l'autrice e la giornalista Ada Masoero, che da oltre vent’anni collabora con le pagine culturali della “Domenica” del “Sole 24Ore” e del “Giornale dell'Arte”. A lei si devono rassegne in sedi prestigiose quali il Palazzo Reale a Milano e il Musée d'Ixelles a Bruxelles mentre il 22 aprile, in occasione di Expo, aprirà alla Villa Reale di Monza la rassegna Italia. Fascino e mito dal Cinquecento al Contemporaneo, da lei firmata con altri studiosi.

Tra le importanti novità della monografia vi è la scoperta del luminoso olio “La donna del mare” (1933), selezionato per la sala italiana alla Galleria d'arte moderna di Mosca da Boris Ternovetz, curatore del padiglione sovietico della Biennale 1924, su consiglio di Giovanni Scheiwiller, allora in stretto contatto con Sbisà. Considerata dispersa, dopo alcune verifiche nell'Archivio Scheiwiller e la notizia che era stata inviata nel '39 per volere di Stalin al Museo Metechi di Toilis, l'opera è stata ora rintracciata nel Georgian National Museum di Tbilisi.

Chiediamo ad Ada Masoero come vadano collocate la personalità e l'opera di Sbisà nell'ambito dell'arte e della cultura italiana del '900.

«Sbisà è stato oggetto recentemente di parecchi studi e di una risistemazione storica del suo lavoro, che con questa monografia acquisisce un ulteriore importantissimo tassello. Pur essendo stato una personalità di primo piano, partecipe dal '22 in poi di quasi tutte le Biennali, il che era segno di appartenenza all'élite dell'arte dell'epoca, poi la sua fama è rimasta abbastanza circoscritta: un peccato, perché Sbisà è stato un artista di grande valore. Tutti questi interventi riportano all'attenzione l'attività di un artista di eccellente livello e di statura tutt'altro che localistica».

Il fatto che fosse triestino e quindi per certi versi avesse incontrato strettamente il mondo mitteleuropeo, essendo nato in una Trieste "sotto l'Austria", quale significato assume?

«Il fascino della cultura triestina agli occhi di tutti noi italiani è stato sempre quello di essere stata il porto dell'Impero asburgico, in relazione con alcuni dei centri allora più vitali della cultura europea. Penso che in tutti i triestini e in lui questa impronta positiva d'internazionalità e di apertura sul resto dell'Europa sia rimasta sempre viva. Certamente poi a Firenze e a Milano s'immerge nella cultura visiva locale, ma a mio parere questo suo spirito resta vivo in lui. Le reminescenze nordiche ed europee affiorano dopo Firenze in alcuni particolari come il clima notturno di certi suoi ritratti degli anni '30. Resta comunque questa sua grande curiosità nei confronti dell'altro, tant'è che nei suoi dipinti si trova non solo la grande pittura del passato, ma anche una grande attenzione ai maestri del momento, con cui si sentiva più in sintonia: Sironi, Funi, Oppi, Arturo Martini. Non fu tuttavia un gregario: era attento agli stimoli provenienti dagli artisti più significativi dell'epoca, che poi rielaborava in modo autonomo».

Qual'è stata la qualità più rilevante di Sbisà?

«Trovo meravigliosi i suoi ritratti maschili delle professioni, i più difficili, poiché in genere meno accattivanti. Dal Palombaro al Motociclista perduto fino al Medico degli anni '40, sono evocativi e di grandissima forza. È stato un buon frescante, ma mi piace di più nella pittura da cavalletto, anche se il suo sodalizio con l'arch. Nordio ha dato ottimi frutti. Quanto alle ceramiche, dopo il '45 si avverte il suo smarrimento, che è lo stesso vissuto da Sironi o da Martini. Sbisà ha dimostrato un grande coraggio, perché si è veramente reinventato».

Nella prossima Biennale Arte di Venezia la scelta del curatore Okwrui Enwezor risonde al problema della crisi, e a questa sorta di age of anxiety che tutti viviamo, con un gesto globale, ambizioso e plateale: la lettura del “Das Kapital” di Marx da parte di ensemble teatrali, attori, intellettuali, studenti e persone del pubblico, ogni giorno per sette mesi. Quale messaggio è insito in questa sorta di Oratorio e che cosa si prefigge?

«È sicuramente in linea con l'idea di Enwezor di un'arte militante, che si sporca fortemente le mani con la realtà, la vita e la società. E forse vale anche la pena di rileggerlo questo Capitale sempre citato. Quanti di noi, me compresa, lo hanno letto? Nel bene e nel male potrebbero anche emergere delle sorprese...».

Enwezor ha voluto convocare le arti e gli artisti di tutte le parti del mondo: un Parlamento delle Forme aperto a 90 partecipazioni nazionali con 5 paesi presenti per la prima volta. Il titolo della mostra è All the World's Futures: attraverso l'arte si può intuire il futuro o almeno vedere più lontano?

«Si suole dire che gli artisti siano dei rabdomanti, abbiano delle antenne e riescano a interpretare segni che sfuggono alle persone meno sensibili. È accaduto che abbiano anticipato eventi o correnti di pensiero che poi si sarebbero sviluppate. Certo, è un titolo azzeccato. Quindi, onore al merito del curatore».

Il Museo Revoltella di Trieste è prossimo al cambio di direzione. Quale strategia suggerisce per una gestione saggia?

«Non conosco la situazione del Revoltella né i progetti al suo riguardo. Posso solo dire che, in generale, sostituire il direttore con un funzionario significa tagliare le ali al museo. L'ideale a mio parere è affidare la direzione scientifica a uno storico dell'arte, affiancato da un amministrativo».

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