Rivivono le perdute cose dell’artista anonimo che indaga le assenze

Al Comune di Mossa una rassegna “in divenire” di un autore che si firma con la sigla LC-DDS

la mostra



Una mostra d’arte speciale, dal taglio filosofico, che rappresenta una riflessione d’artista sulla vita, intesa in senso non personale ma globale e sulla società contemporanea. È questo il filo conduttore della rassegna “Delle perdute cose. Andremo un giorno per spiagge sconosciute”, che si svolge “in divenire” nell’atrio del Comune di Mossa (Gorizia) fino al 15 febbraio ed è firmata da un autore che, già presente in varie sedi istituzionali e musei, desidera mantenere l’incognito, firmandosi con la sigla LC-DDS.

L’originalità dell’evento espositivo sta nella suddivisione temporale del periodo della mostra in cinque tappe, ognuna delle quali testimonia – a due settimane di distanza l’una dall’altra – una riflessione dell’artista sul concetto di perdita, di volta in volta esplicitata dalla sostituzione in mostra di un’opera chiave con un’altra che ne orienta il significato verso un altro tema affine. Grazie anche alla sostituzione, ogni volta, del ricco apparato bibliografico e documentario che accompagna le opere.

La prima fase della rassegna si è intitolata infatti “Più nessuna cornice (della perduta arte)”, enunciando il fatto che uno delle più consuete espressioni dell’arte contemporanea, l’installazione, nega la rappresentazione tradizionale dell’opera incorniciata perciò ecco in mostra un assemblaggio di cornici e di una grande cassa di legno con oggetti vari. Linguaggio ermetico e concettuale che prosegue nella seconda fase, “Qui non c’è più nessuno (Dei perduti affetti)”, simbolizzata da due sedie vuote. La terza ci parla de “L’abbandono del divino (Della perduta fede)”. Ed ecco un crocefisso posato a terra, pronto per essere calpestato perché l’uomo si sente ormai superiore a Dio. E poi “Timoni alla deriva (Delle perdute rotte)”: in mostra tre timoni in legno e compensati, che rappresentano il padre, la madre e il figlio naufragati perché hanno perso la rotta, come – suggerisce LC-DDS – l’uomo contemporaneo. O i migranti sul mare o nella mente…E infine l’”Omaggio a Mario Di Iorio (Dell’umana conclusione)”, pittore morto suicida, cui l’autore “Delle perdute cose” dedica in questi giorni l’ultima tappa, incentrata su un quadro da lui dipinto ispirandosi alle opere di Di Iorio, a loro volta affini a Vedova.

La bellezza e il significato della rassegna stanno proprio in quel filo di malinconia che l’attraversa e la conclude attraverso il concetto di perdita o morte o cambiamento. Un’esposizione che si presenta in ogni tappa come una sorta d’installazione totale, che si fa testimone della poetica dell’object trouvé, in cui l’artista LC-DDS sobriamente ci traghetta perché fa parte del linguaggio espressivo cui è pervenuto da tempo, dopo una giovanile adesione a un impianto compositivo classico e rinascimentale appresi all’Istituto d’arte a Rieti, dove si è diplomato, cui seguì la frequentazione dell’Accademia a Roma, del grande scultore reatino Italo Crisostomi, di Emilio Greco e Corrado Cagli, di Architettura di Roma e Venezia.

La mostra, corredata da un catalogo stampato per conto dalla Biblioteca Statale di Gorizia con contributi di Livio Caruso e dei curatori Francesco Imbimbo e Antonella Gallarotti, sarà documentata da un’ulteriore pubblicazione riassuntiva con foto di Jurko Lapanja, basata sulle riflessioni filosofiche in ambito artistico dell’autore, ispirategli da Schelling e Schopenauer che hanno accompagnato la sua giovinezza. —



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