Rosella Postorino: «Parlo del corpo il nostro spazio intimo e pubblico»

Il suo romanzo “Le assaggiatrici” è ispirato alla vita di Margot Wölk, che testava il cibo per Hitler



Dieci edizioni in 8 mesi, la vittoria al Premio Rapallo, diritti venduti in 14 paesi: il romanzo “Le assaggiatrici” di Rosella Postorino (Feltrinelli, pagg. 287, euro 17) è ora finalista al Premio Campiello 2018. Ispirato alla vita di Margot Wölk, una delle dieci assaggiatrici di Hitler assoldate dalle SS per verificare che i tre pasti giornalieri del Führer non fossero avvelenati, racconta la vicenda di Rosa Sauer e sa toccare corde profonde: nella notte più buia della Storia, lei, giovane pedina, si dibatte tra umanità e disumanità. E come in tutti i romanzi di Postorino, il conflitto tra prigionia e libertà si consuma sulla pelle della pagina.

Immagino che l’incontro con Margot Wölk sia stato per lei un colpo di fulmine, una storia incredibilmente consonante alle sue tematiche, è così?

«È stato come trovarmi davanti al personaggio di un mio romanzo, solo che lei era vera, in carne e ossa. Ciò che mi interessava della sua vicenda era che fosse una vittima, costretta a rischiare la morte ogni giorno per salvaguardare la vita di Hitler, pur non essendo una nazista, ma al contempo che questo la rendesse complice del regime».

Rosa esprime un’ambivalenza di tutti noi: il coraggio e la codardia. Ma il romanzo è anche un invito a riflettere sulla Storia e la banalità del male…

«È importante ragionare, oggi più che mai, sul fatto che tollerare un sistema disumano sia una colpa, al di là e prima ancora della collusione con quel sistema. Rimanere inerti di fronte alle ingiustizie, sopravvivere mentre altri soccombono, è ciò che il filosofo Karl Jaspers chiamava colpa metafisica. Un giorno qualcuno ci chiederà conto del genocidio nel Mediterraneo».

Nei suoi romanzi è la corporeità a rendere visibili gli snodi della psiche. Rosa si confronta con un paradosso irriducibile: il seno buono e il seno cattivo, citando Melanie Klein, il cibo che nutre e il cibo persecutorio, ma per lei non c’è possibilità di riparazione…

«Il cibo è la metafora di come per vivere dobbiamo far entrare nel corpo ciò che è esterno, anche se minaccia il corpo stesso. Vivere, insomma, è un rischio mortale».

Tutte le protagoniste dei suoi libri - Ester (La stanza di sopra), Milena (Il corpo docile) e Caterina (L’estate che perdemmo Dio) - nascondono un segreto vissuto come peccato originale, tara ereditaria. Il corpo è una prigione e uno scrigno, eppure non si smette di desiderare…

«Nessuno ha scelto il proprio corpo né di avere un corpo, nessuno ha scelto di venire al mondo. Il corpo è la nostra prima gabbia, ma è anche uno spazio che desideriamo abitare il più a lungo possibile. Non c’è altro modo di parlare degli esseri umani se non attraverso i corpi, perché è il corpo a mangiare, camminare, dormire, consolare, scoprire, amare, picchiare, uccidere, morire. È quanto di più intimo abbiamo, eppure è pubblico: le guerre si fanno sui corpi, i diritti soggettivi – dal sesso alla procreazione al diritto alla cura o alla morte – passano dai corpi».

C’è la fame del tempo di guerra ma anche fame d’amore. L’altro però è sempre un Estraneo, in qualche modo pericoloso: “Il mio corpo che conosce le cose, che comprende oltre me”. Cosa conosce il corpo che alla coscienza sfugge?

«I corpi dei miei personaggi non dimenticano nulla, testimoniano ciò che è stato, ne portano traccia, e per questo spesso si inceppano. Il corpo di Rosa tradisce il suo desiderio di vita: sente la fame nonostante la paura, prova desiderio per Ziegler nonostante sia ingiusto, riassume tutte le contraddizioni dell’esistere».

Rosa non ha alternative, avrebbe potuto opporsi al suo destino, sottrarsi a Ziegler? Ricorda la Lucile di Suite francese di Irène Némirovsky…

«Se la colpa di assaggiare il cibo di Hitler diventa intollerabile soprattutto nella distanza del tempo, quando non c’è più l’alibi del “non sapevo”, quella di avere una relazione con una SS avrebbe potuto evitarla. Eppure, per quanto meschino, il rapporto tra Rosa e Zigler è una forma di resistenza: al Terzo Reich. Nello sguardo di Ziegler, Rosa smette di essere cavia e torna umana. Con lei Ziegler si spoglia del suo ruolo, e insieme sono semplicemente un io e un tu – è questa la forza del desiderio. La differenza fondamentale con Lucile è che Rosa non si innamora di un inglese, ma di un tedesco – il nemico ce l’ha in casa».

Quali sono i progetti di Rosella dopo aver portato Rosa al Campiello?

«Sono in programma alcuni viaggi all’estero legati al libro: in Spagna, dove esce in autunno, e alle fiere di Francoforte e Mosca». —



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