Roseo triestino e irredentista che non tremava davanti a nessuno

C’è Carlo Lorenzini, il Collodi che si è reso immortale inventando il burattino Pinocchio. C’è Howard Phillips Lovecraft, che ha sconvolto la letteratura fantastica con i miti di Cthulhu. E poi...

C’è Carlo Lorenzini, il Collodi che si è reso immortale inventando il burattino Pinocchio. C’è Howard Phillips Lovecraft, che ha sconvolto la letteratura fantastica con i miti di Cthulhu. E poi Emilio Salgari, che non si è mai mosso dalla sua stanza per immaginare mondi lontani. Oliver Hardy, che con Stan Laurel non smette ancora oggi di far ridere il mondo. E Cary Grant, l’attore che ammetteva candidamente: «Ognuno vorrebbe essere Cary Grant, anch’io».

Sono la compagnia degli “Eccentrici”. Occhialuti alchimisti rovinati dall’assenzio, temerari aeronauti che atterravano sul tetto dei grandi magazzini di Parigi, digiunatrici poliglotte, trasvolatori infelici. E un uomo forte, fortissimo. Anzi, l’uomo più forte del mondo. Quel Giovanni Raicevich che non poteva non entrare nella galleria che Geminello Alvi, economista e scrittore, ha dedicato a 42 personaggi stravaganti, folli, ma soprattutto animati dall’ansia di inseguire la vita nel volume pubblicato da Adelphi (pagg. 184, euro 13).

Raicevich entra in scena come se arrivasse direttamente dagli antichi giochi circensi. Fotografato sempre con il suo torace in primo piano, «di centimetri centoventotto reso ancora più immenso dai braccioni brevilinei», con il cranio rasato «da galeotto» e lo sguardo che non si abbassa nemmeno davanti ad avversari ben più giganteschi del suo modesto uno e settantadue d’altezza, decise di misurarsi con un pelosissimo cosacco che di cognome faceva Romanoff. Era il 1909, al Teatro del Verme di Milano tutti i lampi fumanti dei fotografi si concentravano sul «roseo triestino irredentista». Che non indietreggiava mai. Che non si faceva spaventare nemmeno dalla mole di avversari immensi, come il campione di Francia Aimable de la Calmette. Un lottatore elegante e fortissimo. Oppure Anglio Anastase, il gigante nero della Martinica «che aveva un braccio di sessanta centimetri di misura».

Eppure, quando morì a Roma, nel 1957, nessuno ricordò che, raccontando le sue imprese, la “Gazzetta dello Sport” aveva superato le centomila copie. Perché lui, ormai, era solo un modesto pensionato.

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