Salire sul Monte Athos a cercare il padre monaco per dirgli che diventa nonno

È "Tatăl nostru" del rumeno Andrei Dăscălescu all’interno della comunità monastica che vive in totale insolamento e senza ammettere donne



Svegliarsi all'una e trenta della notte, sedersi su una panchina e meditare sotto la volta stellata, richiamati allo scoccare della campana alla messa delle tre, che segna l'inizio di un'altra giornata all'insegna dell'introspezione, della preghiera e dell'isolamento. Prende l'avvio così, ogni giorno, l'incredibile esistenza fuori dal tempo e dallo spazio comunemente abitato dei monaci ortodossi che vivono sul Monte Athos in Grecia, in totale solitudine e auto-reclusione dalla schizofrenia della civiltà moderna e dove le uniche presenze di sesso femminile sono le galline di un ex cecchino, veterano della U.S. Army, venuto in Calcidica per farsi eremita. Una comunità che da sempre bandisce le donne, permettendo l'accesso ai soli maschi, mentre è proprio da una giovane donna che prende il via questa peculiare storia proposta oggi dal Trieste Film Festival.

Secondo documentario in concorso, "Tatăl nostru" ("Padre Nostro") è firmato dal cineasta rumeno Andrei Dăscălescu ed è stato prodotto da Filmlab in co-produzione con HBO Europe: ma il legame con Trieste e il festival è forte, perché proprio in questa città il film, nella fase di post-produzione, è stato presentato a un pubblico internazionale di sales agents, responsabili di festival e rappresentanti di broadcaster grazie a "Last Stop Trieste" e "When East meets West", una delle tante iniziative mosse dal Fondo per l’audiovisivo della Regione per mettere in connessione i professionisti del cinema.

"Tatăl nostru" si apre con una giovane seduta sul water nel bagno di casa: lo stick in mano lascia pochi dubbi e in effetti presto comunica al giovane compagno Andrei che la riprende il risultato positivo del test di gravidanza. I giorni seguenti saranno dedicati alla comunicazione alle rispettive famiglie: inizia Paula, questo il suo nome, che via Skype riceve dai genitori separati reazioni contrastanti e perfino un bel "vaffa" in italiano dalla madre.

Quanto a lui, Andrei, la questione è più complessa. A sei anni il regista fu colpito e addolorato dall'abbandono del papà che lasciò la famiglia, senza però capire di più. Solo più tardi il regista comprese la ragione: il padre lo fece per farsi monaco e andare a vivere in un monastero a picco sul mare, nella terra spirituale per antonomasia: il Monte Athos. Il documentario racconta quindi l'incontro tra padre e figlio conducendolo su un doppio binario: da una parte l'esplorazione della vita semplice di un uomo di Dio - la quotidianità densa di spiritualità ma anche di attività manuali, con un gradevole richiamo anche al rapporto con la tecnologia - dall'altro una ricerca nel passato della famiglia per affrontare la nuova paternità con più consapevolezza, da cui emergeranno riflessioni più ampie e profonde, sulla vita e sulla necessità dell'accettazione dell'impermanenza per vivere sereni (ad esempio nella scena dell'ossario).

La Grecia sarà ancora al centro della giornata odierna alle 18.15: il concorso lungometraggi presenta in anteprima italiana "Pari" una coproduzione di vari Paesi firmata dal regista iraniano Siamak Etemadi. Anche qui un rapporto genitore-figlio, anche qui una ricerca - una madre, appunto Pari, che si lancia sulle tracce del figlio - per questo debutto in lungo presentato in anteprima nella sezione “Panorama” della Berlinale 2020. —



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