«Se siamo ancora fascisti è per ignoranza non abbiamo fatto i conti con il passato»

Francesco Filippi pubblica per Bollati Boringhieri un’analisi sociale e politica di un fenomeno che continua a minare la democrazia  
27/10/2019 Predappio anniversario della marcia su Roma, corteo di fascisti alla tomba di Mussolini
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l’intervista

Roberto Carnero

La domanda che dà il titolo al nuovo libro di Francesco Filippi è molto più di una semplice provocazione: “Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto” (Bollati Boringhieri, pagg. 255, euro 12). Dopo il grande successo di “Mussolini ha fatto anche cose buone”, Filippi è ormai riconosciuto come una voce fondamentale nel dibattito sul fascismo in Italia. Avendo effettuato uno strenuo lavoro di demistificazione delle leggende relative al ventennio fascista e alla figura del duce, ora lo storico trentino dirige la sua analisi verso i motivi che portano tanti nostri concittadini a cadere vittime, ancora oggi, di una propaganda iniziata oltre due generazioni fa. Una guerra disastrosa, milioni di morti, l’infamia delle leggi razziali, la vergogna dell’occupazione coloniale, una politica interna economicamente fallimentare, una politica estera aggressiva e criminale, un’attitudine culturale liberticida, una sanguinosa guerra civile: questo è stato il fascismo. Eppure - afferma l'autore - oggi, ormai ben addentro al terzo millennio, l'ideologia fascista è tutt'altro che sconfitta. Anzi, sembra manifestare inquietanti segnali di recrudescenza.

Ma davvero gli italiani sono ancora fascisti?

«Provo a spiegare il mio punto di vista distinguendo due ambiti - risponde Francesco Filippi -. Da un lato abbiamo ancora la presenza di una estrema destra che si richiama all'esperienza del fascismo storico: per esempio i membri di una formazione come Casa Pound di definiscono "i fascisti del terzo millennio". Si tratta però di elementi minoritari nel sistema politico, anche se a volte ottengono una loro rappresentanza e magari vengono blanditi da partiti più ampi e moderati. Dall'altro lato, tuttavia, c'è una larga fetta della popolazione italiana che non si è mai davvero interrogata a fondo sul fascismo. È un'ampia "zona grigia" (per dirla con Primo Levi) che determina un problema di mancanza di memoria. Forse, dunque, gli italiani sono più smemorati che fascisti. Ma la smemoratezza è pericolosa, perché può preludere al ritorno di esperienze negative. È soprattutto questo aspetto che ho provato a indagare nel mio libro».

Qualcuno polemizza con la professione di antifascismo espressa da molti intellettuali odierni affermando che non ha senso essere fascisti in assenza di fascismo. Che cosa ribatte?

«Mi sembra un modo alquanto singolare di argomentare. Sarebbe un po' come dire che non ha senso essere attenti alla propria salute in assenza di malattia: l'antifascismo serve proprio a scongiurare l'avvento del fascismo, cioè a produrre gli anticorpi affinché la società e lo Stato si mantengano sani. Anche se fortunatamente sul piano storico e politico il fascismo è stato sconfitto, esistono tracce ben visibili della presenza di quello che Umberto Eco chiamava il "fascismo eterno", una sorta di "Ur-Fascism", un fascismo, cioè, "atemporale"».

Quali segni ne vede nella nostra società?

«L'atteggiamento più pericoloso è una certa disaffezione alla democrazia e alle sue modalità. Capita, in molti Stati europei, che sempre molta meno gente vada a votare, per esempio. In tanti pensano che i meccanismi democratici siano troppo lenti e quindi inadeguati per affrontare i problemi più urgenti. In base a un recente sondaggio, il 40% degli italiani ritiene che l'avvento al potere di un "uomo forte" potrebbe risolvere una volta per tutte molte questioni annose».

E nella politica?

«Vedo soprattutto un problema sul piano della comunicazione. Fino a qualche anno fa se un politico voleva comunicare qualcosa, convocava una conferenza stampa e i giornalisti ascoltavano, ponevano domande, riferivano ai loro lettori, ascoltatori o telespettatori. Oggi invece sui social network (Facebook, Twitter, Instagram e più di recente persino TikTok) il politico di turno parla direttamente, senza filtri, agli elettori. Le persone hanno come la sensazione che i politici si rivolgano personalmente a ciascuno di loro. In realtà, si tratta di messaggi calati dall'alto in maniera autoritaria, perché priva di qualsiasi contraddittorio».

La volontà del Governo di prolungare lo stato di emergenza a causa della pandemia in corso ha suscitato le proteste dell'opposizione, che paventa una deriva illiberale nella gestione del potere. È un rischio reale?

«La nostra democrazia prevede che a un'emergenza si possa rispondere con la sospensione di alcuni dei mormali meccanismi democratici. Questo consente di assumere decisioni in fretta, qualora le circostanze lo richiedano. L'importante è che sia fissato un limite temporale preciso. Va da sé che quel termine, se necessario, può essere prorogato».

Lei vede del fascismo anche nell'opposizione al varo di una legge come quella contro l'omotransfobia e la misoginia?

«Qui si tratta di qualcosa di più complesso, che ha a che fare con un certo machismo presente tradizionalmente nella società italiana, e che il fascismo a suo tempo ha cavalcato. Ho l'impressione che questa opposizione a una legge volta a impedire delle discriminazioni riveli la grande fragilità culturale di tale fronte del no. Probabilmente andrebbe fatto un serio lavoro psicanalitico». —

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