Sfumature di grigio? Che grande noia meglio Histoire d’O

Venerdì al Teatro Bobbio di Trieste l’attrice porta in scena “Tre donne in cerca di guai”
Di Alessandro Mezzena Lona

di Alessandro Mezzena Lona

A lei le “Sfumature di grigio” hanno strappato solo sbadigli. Troppo perfettini i personaggi, algide come certi spot pubblicitari le scene di sesso sadomaso. «Manca la passione», dice chiaro e tondo Corinne Clery. E lei, in materia, si può considerare un’autorità. Visto che nel 1975, da attrice debuttante, ha scandalizzato e affascinato il mondo intero vestendo i panni della protagonista di “Histoire d’O”, il film di Just Jaeckin tratto dal romanzo di Dominique Aury-Pauline Réage.

Adesso, Corinne Clery porta in scena un suo grande amore teatrale. Una pièce francese, “Les amzones” di Jean Marie Chevret, che ha realizzato con il regista Nicasio Anzelmo, nell’adattamento di Mario Scaletta. E che la vede da venerdì alle 20.30, fino a lunedì 20, sul palcoscenico del Teatro Bobbio di Trieste, per la stagione della Contrada, recitare “Tre donne in cerca di guai” insieme a Barbara Bouchet e Iva Zanicchi. Una storia di amicizia e solitudine al femminile, dove gli uomini rischiano di portare solo scompiglio.

Settanta film girati con registi come Corbucci, Samperi, Festa Campanile, Noiret, un passaggio da Bond Girl, che vale da solo una consacrazione, al fianco di Roger Moore in “Agente 007 Moonraker - Operazione spazio”, tanta fiction televisiva (“Disperatamente Giulia”, “Vita coi figli”) fino ad approdare a “Ballando con le stelle” e “Pechino Express”, attrice di teatro nel terzo millennio, Corinne Clery è una parigina che ha scelto di vivere in Italia. Per amore, ma non solo.

«Mi è piaciuta subito la storia di queste tre donne che soffrono un po’ la solitudine - spiega Corinne Clery -. Anche perché la commedia francese sa raccontare i personaggi con grande ironia. E poi mi affascinava anche il coraggio di parlare liberamente di omosessualità tra uomini, mentre in Italia siamo ancora imbarazzati ad affrontare il tema».

E allora ha provato a portare la pièce in Italia?

«Mi sono mossa già otto anni fa per metterla in scena. Ma subito ho trovato davanti a me un muro di “no”. Mi dicevano che “Tre donne in cerca di guai” racconta una realtà che da noi non esiste. Invece io ero convinta, e lo sono tuttora, che sia perfettamente in linea con la realtà italiana. Il problema è che qui, spesso, tendiamo a nascondere certi problemi. Soprattutto se riguardano la sfera dei sentimenti».

Si è arresa?

«No, semplicemente ho fatto altre cose. Sono andata a “Ballando con le stelle”, ho partecipato a “Pechino Express”, ho recitato a teatro».

L’idea, però, era sempre lì nella sua testa?

«Sì, ma non potevo fare niente perché ero sotto contratto con la Rai. Quando mi sono liberata, sono tornata alla carica. Ho acquistato i diritti della pièce, mi sono occupata della traduzione, dell’adattamento, ho trovato il produttore».

Mancava un regista...

«No, il regista c’era, ma io non lo sapevo ancora. Nicasio Anzelmo aveva messo gli occhi sulle “Tre donne”. Allora, chi curava i diritti mi ha detto: “Perché non vi incontrate, magari riuscite a collaborare”. Alla fine sono stata fortunata, perché ci siamo piaciuti subito e abbiamo iniziato a lavorare sulla pièce».

Chi ha scelto le sue compagne di scena?

«Le abbiamo scelte insieme. Anche se, all’inizio, c’erano idee diverse. Io avevo pensato a Catherine Spaak e lei sembrava molto interessata. Abbiamo lavorato per mesi sul progetto, mentre cercavamo la terza attrice».

Catherine Spaak si è tirata indietro?

«A un certo punto mi ha detto che non voleva più fare la parte. Solo dopo ho capito che il suo rifiuto è stato, per noi, una fortuna. Altrimenti mi avrebbe mollata, magari a metà della tournée, come ha fatto con “L’isola dei famosi”. Non ci siamo persi d’animo».

Così è arrivata Barbara Bouchet?

«Ci conosciamo da anni, siamo amiche e io le voglio molto bene. In più la considero bravissima. Si è rivelata perfetta per noi».

E la terza protagonista?

«Anche in questo caso abbiamo dovuto cambiare idea in corsa. All’inizio pensavamo di scritturare Marisa Laurito, ma lei non se l’è sentita di prendersi questo impegno. E allora Tania Corsaro, la produttrice, mi ha proposto Iva Zanicchi. Un’intuizione davvero giusta, perché lei è perfetta in scena. Lo spettacolo sta andando molto bene. Abbiamo avuto il tutto esaurito nei teatri che ci hanno ospitato finora».

“Histoire d’O” l’ha fatta conoscere al mondo intero. Cosa pensa delle “Sfumature di grigio”?

«Ho cominciato a leggere il libro e mi sono fermata a pagina 15. Il film non l’ho visto proprio. Sì, i personaggi sono molto carini, presentabili, educati, ma sembrano perfetti per una pubblicità. Mancano le emozioni».

Nel film di Just Jaeckin si parlava di sesso sadomaso senza condirlo troppo di miele.

«Il film raccontava una storia vera. Non so se vissuta direttamente dalla scrittrice, Dominique Aury, che si firmava con lo pseudonimo di Pauline Réage, o meno. Certo è che, prima di recitare la parte, mi ero documentata sulle vicende di donne che accettano di essere schiave dei loro uomini».

È arrivata al cinema facendo la modella?

«Facevo la fotomodella. Il cinema è arrivato a me per caso. C’era un produttore francese che aveva sulla scrivania una foto di lui, me e mio marito Hubert Hayaffe insieme in vacanza. Il regista l’ha vista e ha detto subito: “Voglio questa ragazza per la parte di O”».

E lei?

«Ho detto di no per due mesi. Poi ho accettato la parte, convinta che non mi avrebbero mai presa. Invece, sapete come è andata a finire».

Difficile recitare la parte di O?

«No, direi di no. Io sono parigina, al topless al mare mi aveva abituato mia mamma. Recitare le scene di nudo non mi mette in imbarazzo. Quello che mi dà fastidio è la volgarità. Ma Jaeckin sapeva comportarsi da gran signore, non c’è mai stato imbarazzo tra di noi. Non mi sentivo come se stessi in esposizione allo zoo».

Il grande Albert Camus disse: «Una donna? Impossibile! Questo romanzo non puo essere stato scritto da un donna»...».

«E invece l’ha scritto proprio una donna. Tra l’altro, non il tipo che ti puoi immaginare. Ma una signora un po’ all’antica, con un aspetto d’altri tempi. Era sposata con un accademico di Francia».

Come mai si è trasferita in Italia?

«Sono venuta in vacanza in Italia e mi sono immamorata. Poi, quel fidanzato di un’estate è diventato il mio secondo marito: Luca Valerio. Avevo già un figlio, Alexandre».

Si è trovata subito bene, nonostante i tanti difetti degli italiani?

«Non è che i francesi siano molto meglio. Però devo dire che adesso gli italiani sono peggiorati davvero».

Ha lavorato tanto per il cinema e la tivù. C’è qualcuno che non ricorda con simpatia?

«Un regista spagnolo. Giuro che ho dimenticato perfino il nome. Nel cast c’erano due grandissimi attori come Fernando Rey e Terence Stamp. Anzi, adesso che ci penso si chiamava German Lorente: il film era “Strip tease” del 1977. Non lo sopportavo proprio. Mi faceva paura. Ero convinta che avesse le mani da assassino. E non riuscivo a togliermi dalla testa questa idea».

E il regista che ricorda con più simpatia?

«Potrei dire Sergio Corbucci, che mi ha diretta in “Bluff” nel 1976. Accanto a me c’era Adriano Celentano. Mi sono divertita molto a recitare la parte di Charlotte».

Lei ha confessato una storia d’amore clandestina con il regista francese Claude Lelouch...

«Ma non è stato facile dirlo. Infatti l’ho raccontata molti anni dopo. Perché lui, allora, stava con un’altra donna che aspettava un bambino...».

Mai usato trucchi per valorizzare la sua bellezza?

«No, non mi piace barare. Forse per non invecchiare male bisogna avere tante cose. Essere ottimisti, positivi, non prendersi troppo sul serio. Ovviamente, in tutto ciò, l’amore conta molto».

Dopo tanti mariti e amanti crede ancora nell’amore?

«Per me, ogni amore è sempre come fosse il primo. Non bisogna mai dare niente per scontato».

In un uomo cosa guarda per primo?

«La faccia e le mani. A un secondo sguardo, anche il resto. Non mi piacciono gli uomini maleducati e nemmeno quelli che hanno un brutto carattere».

E se uno è geloso?

«Mi dà veramente fastidio. Cerco sempre di far capire che se voglio tradirlo...».

alemezlo

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