Simbolo di una guerra lacerante che riuscì a unire tutto il Paese

Paolo Marcolin



Il 4 novembre 1921 un mare di popolo, in religioso silenzio, si radunò in piazza Venezia per seppellire le spoglie non identificabili di uno dei 650 mila soldati italiani morti nella Prima guerra mondiale. L’inumazione rituale di un corpo anonimo, raccolto dal campo di battaglia per ricevere degna sepoltura, fu una risposta catartica alla morte di massa e alla perdita irreparabile di una così ingente moltitudine di esseri umani. L’evento ebbe una immensa risonanza culturale e popolare: il Milite ignoto rappresentava allo stesso tempo il corpo umano e quello della nazione, entrambi percepiti come lacerati, forse in modo permanente, dalla guerra e dalla modernità. Forse poche volte un’operazione calata dall’alto con un intento retorico - il risarcimento morale del fante mandato a morire in nome del dovere - era riuscita a toccare così in profondità tutto il Paese. Ciò accadde perché il Milite ignoto venne percepito da subito non solo come il soldato sacrificato per la patria, ma come una persona che aveva perso la propria identità, così che nel tempo il significato simbolico del Milite ignoto è mutato per dare voce a esperienze di morte e trauma molto diverse tra loro. Tanto che oggi si possono individuare analogie sorprendenti tra il lutto da pandemia da Covid 19 e la morte di massa del Primo conflitto mondiale.

A dare questa lettura è la storica americana Laura Wittman che con il suo ‘Il milite ignoto. Storia e mito’ (Leg, 224 pagg., 20 euro), versione italiana e aggiornata di un saggio uscito una decina di anni fa, sostiene come la pandemia, proprio come la guerra, abbia avuto un impatto disomogeneo sulle diverse nazioni e comunità e abbia mostrato come le disuguaglianze sociali implichino anche un ineguale accesso al sistema sanitario. Prima di proporre questa attualizzazione, Wittman riporta il lettore alla fine della Prima guerra mondiale, quando i paesi di tutta Europa avevano partecipato a un rituale senza precedenti in cui era stato sepolto un unico corpo anonimo per simboleggiare il trauma travolgente dei campi di battaglia. I memoriali erano una novità perché la morte in guerra veniva cancellata. Invece dopo la carneficina delle trincee, che aveva lasciato milioni di corpi sfigurati e senza nome, la Tomba del Milite ignoto, a Roma come a Parigi come ad Arlington, coagulò una forza simbolica che voleva rappresentare il ricongiungimento dei morti con i loro cari. In sintesi, scrive Wittman, “alla fine della prima guerra mondiale la cultura occidentale non era più in grado di dare un’interpretazione adeguata alla morte, e la Tomba del Milite ignoto ha rappresentato un tentativo di esporre e di esplorare questa difficoltà”. Wittman indaga la creazione e la ricezione di questa simbolica sepoltura nazionale come emblema del lutto moderno. Mettendo insieme letteratura, resoconti di giornali, corrispondenza in tempo di guerra e cultura popolare, esamina come il Milite ignoto sia stato immaginato in diversi contesti nazionali e utilizzato da partiti politici radicalmente opposti e sostiene che questo monumento ha stabilito una connessione tra il corpo ferito, vulnerabile alla macchina da guerra e un'identità moderna definita dalla mortalità comune e dall'alienazione sociale. Il fatto che dal 1921 a oggi, la figura del Milite ignoto abbia avuto una straordinaria risonanza e il suo corpo anonimo sia stato oggetto di interpretazioni radicalmente divergenti mostra fino a che punto il significato della morte sia tuttora dibattuto.

Cosa può dirci oggi il Milite ignoto, si chiede Wittman in conclusione del suo libro, oggi che viviamo in un periodo di eroi individuali a qualsiasi costo? Che c’è bisogno di gente che agisca in nome di interessi collettivi e di senso di responsabilità, anche rinunciando all’onore individuale. Abbiamo bisogno di sentirci vivi e sentirci eroi “senza reclamare meriti per egoismo di nome e cognome, per i nostri interessi o per quelli del nostro padrone, del dio di turno, della nostra famiglia, città o regione.” —



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