Snowden, il fragile paladino

Grandi cospirazioni, intrighi di potere, un uomo comune che incrocia la storia degli Usa ponendosi come suo antagonista. La vicenda di Edward Joseph Snowden, ex informatico della Cia e consulente alla National Security Agency noto per aver pubblicamente rivelato i dettagli sui programmi di sorveglianza di massa adoperati dal governo statunitense e britannico, presentava contorni più che mai appetibili per Oliver Stone, da sempre a suo agio in una posizione di "patriottismo critico" nei confronti della bandiera a stelle e strisce. Non a caso, infatti, il regista di "JFK - un caso ancora aperto", premiato agli Oscar per "Platoon" e "Nato il quattro luglio" nonché autore di numerosi altri film che vertono su alcune tra le più controverse pagine della storia americana - "Wall Street", "Natural Born Killers", "Nixon", "W." - ci si è buttato a capofitto, nonostante il progetto sia stato rifiutato a Hollywood perché considerato "rischioso".
Nel suo nuovo film, "Snowden", che in Italia esce con tempismo quasi perfetto a poche settimane dal trionfo di Donald Trump alle presidenziali, Stone sembra soprattutto intento a mostrare tutto ciò che ha preceduto la celebre intervista di Laura Poitras e Glen Greenwald, cuore del documentario del 2014 "Citizenfour". Ciò che gli interessa è raccontare l'uomo, un ragazzo pallido, affetto da epilessia, scartato dall'esercito per le ossa troppo fragili ma dotato di un'intelligenza superiore alla media, e perché quel giovane conservatore dagli alti ideali, che voleva a tutti i costi servire la patria trovando ispirazione in "Star Wars" come in Thoreau, si sia ritrovato a fare i conti con la propria coscienza di fronte a un segreto troppo grande da custodire.
La materia è complessa. E Stone accarezzava il desiderio di parlare a un pubblico quanto più vasto possibile. Si sono rese perciò necessarie ampie digressioni descrittive dai tratti didattici, calate in una storia che si snoda su più piani temporali, nell'intento di far chiarezza sull'intricato meccanismo all'interno del quale Snowden si è dovuto muovere. I rischi corsi, le decisioni non facili da prendere, il contesto nel quale si trovava ad operare. Di certo queste parentesi non giovano alla fluidità di un racconto che oscilla tra il biopic e lo spy thriller, mutuando, a momenti, anche i canoni del film bellico. Alla domanda che più spesso è stata posta attorno alla figura di Snowden, se sia egli un traditore o un paladino della patria, Stone risponde mettendo in scena un eroe romantico che ha il volto di Joseph Gordon-Levitt, perfettamente a servizio del ruolo che interpreta. Lo stato di paranoia che aleggia nell'aria è un sentimento tipicamente americano, almeno quanto la contraddizione dicotomica tra tutela della libertà e garanzia della sicurezza che si è scatenata in seguito all'attentato dell'11 settembre alle Torri Gemelle. Il fatto, secondo quanto assicura uno dei personaggi dei film, è che qui "il terrorismo è solo una scusa", perché ciò che è davvero in ballo è la conservazione del potere, economico e sociale. Certo, da una parte la maggior parte degli statunitensi non vuole più la libertà, invoca sicurezza. E l'ideale "frontiera" del mito americano si è spostata ovunque, fluida, impalpabile, virtuale, in mezzo a noi. Ma fino a che punto è lecito spingersi verso il "controllo", in nome della tutela di un bene superiore? È legittimo raccogliere sistematicamente dati, email, registrazioni e chiavi di ricerca con la scusa di garantire la "pace nel mondo"? Alla vigilia dell'era post-Obama che si è appena ufficialmente inaugurata, di fronte a un monitoraggio in stile orwelliano, in costante violazione della privacy di ogni cittadino e costantemente in bilico tra verità e menzogna, c'è chi ha detto no.
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