Storia dell’Adriatico, il mare dell’intimità che divide e unisce popoli

Egidio Ivetic nel suo libro pubblicato da Il Mulino ricostruisce il ruolo nei secoli del “piccolo Mediterraneo”

TRIESTE Crociati in navigazione verso la Terrasanta, mercanti levantini di ambra, temuti pirati uscocchi; e ancora albanesi in fuga dalla dittatura, camionisti in viaggio sui traghetti per la Turchia. L’Adriatico è stato percorso e ripercorso da milioni di uomini. Bragozzi veneziani, galeoni francesi, brigantini inglesi hanno solcato le sue onde, le sue coste hanno assistito a naufragi e i suoi fondali custodiscono quel che resta degli scafi di legno. Il mare è stato portatore di ricchezza. Trieste all’Adriatico deve il suo secolo d’oro e ancora adesso dagli enormi spazi portuali c’è chi scruta un orizzonte vuoto, in attesa di una nuova rinascenza. Molta letteratura si è lasciata sedurre dalle sue onde. Saba si tuffava nell’Adriatico davanti a Servola e sognava il profilo di Ulisse. Foscolo lo aveva risalito, dalle ‘sacre sponde’ di Zante fino a Venezia, Carpinteri e Faraguna hanno riempito i teatri con i capitani di macchina istriani e i nostromi dalmati. Sulle sponde occidentali, a Brindisi, dove finiva la via Appia, morì Virgilio, e nelle pietre lucide di Bari Vecchia e nella cattedrale bianca sul mare celeste di Trani sembra di essere già in oriente. L’Adriatico trafficato, contaminato, ha messo in relazione uomini, idee, culture; ma è anche linea di faglia tra nord e sud, cuneo inserito fra oriente e occidente.

A questo Mediterraneo in scala ridotta, sfondo di storie straordinarie, testimone silente dello scorrere di civiltà, Egidio Ivetic, che insegna Storia moderna e Storia del Mediterraneo all’università di Padova, ha dedicato una ‘Storia dell’Adriatico’ (Il Mulino, 434 pagg., 32 euro). Ivetic, nato a Pola nel 1965, ha conosciuto l’Adriatico durante il servizio militare di leva, svolto nella marina jugoslava, percorrendolo in lungo e in largo. Da quella esperienza si sono succeduti anni di letture e di studi, di cui questo libro è il risultato, sorta di omaggio a quello che per Ivetic è sia una regione storica che un luogo di contemplazione di civiltà e culture.

Come leggere il senso storico di un mare? Ivetic ha risolto la preliminare questione di metodo rifacendosi all’insegnamento di Fernand Braudel, vale a dire mettendosi alla ricerca dei diversi tempi, economici, sociali e politici, insiti in questo mare-territorio, in cui Ivetic riconosce tre livelli. Il primo è quanto avviene sulla superficie del mare, gli avvenimenti, la lotta per l’egemonia, il traffico delle merci; il secondo livello è rappresentato dai sistemi costieri, con relazioni fra le sponde; il terzo livello è il retroterra, che la porosa membrana della costa mette in contatto le genti marinare. In una visione allargata il retroterra comprende anche le capitali lontane di stati che hanno avuto sbocchi sull’Adriatico come Roma, Napoli, Budapest, Belgrado, Vienna. Proprio la capitale degli Asburgo scelse Trieste come grimaldello per contrastare l’egemonia di Venezia sull’Adriatico, fallendo, perché quel mare che nelle carte antiche era chiamato golfo di Venezia, ha avuto nella Serenissima la sua forte koinè culturale, e i leoni di San Marco che adornano gli edifici da Muggia alle isole della Dalmazia stanno lì a testimoniare che la sua impronta permane ancora, seppur flebile, a duecento anni dalla fine della Repubblica. Quei leoni rivelano uno di quei processi di lunga durata, per usare un’altra formula di Braudel, che sottostanno alle vicende storiche. Così, se nell’Ottocento il nazionalismo spinse il giovane regno d’Italia verso l’espansionismo adriatico che portò alla collisione le due sponde, dalla fine degli anni Novanta si fa strada una nuova concezione, quella dell’Adriatico come spazio culturale condiviso. Da luogo fisico il mare diventa un concetto. La lunga durata ci dice che l’Adriatico, visto come parte del Mediterraneo, è un mare-storia la cui narrazione intreccia la storia dell’arte, l’archeologia, l’antropologia, la letteratura. Questo passato complesso e plurale delinea l’idea della permanenza metastorica di un ‘homo adriaticus’, frutto dell’incontro delle lingue e delle culture che in questo mare trovano confluenza. —

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