Storia di padri e figli alla resa dei conti sul ring va in scena il più classico melò



È tempo di chiudere il cerchio. La saga di “Rocky”, che ci accompagna sullo schermo da più di quarant’anni, ha avuto inizio nel 1976, quando John G. Avildsen portava a termine il primo leggendario capitolo dello sport movie pugilistico più celebre di tutti i tempi. Negli anni a seguire le imprese dell’Italian Stallon, tra ascese, cadute e risalite, sono passate per la realizzazione di cinque sequel, culminati nel “Rocky Balboa” del 2006 firmato da Sylvester Stallone in persona. Stallone, Sly, che come nessun’altro attore ha saputo costruire sul proprio corpo la mitologia dell’eroe a stelle strisce, muscoli e cuore, capace di preparare la sua uscita di scena non solo accettando l’inevitabile decadenza fisica, ma volgendola narrativamente in un senso di struggente malinconia.

Nel 2015 il primo spin-off “Creed” (Ryan Coogler) getta le basi per un rilancio della saga cercando la via del passaggio di testimone alle giovani generazioni. Ecco, allora, l’entrata in campo di Adonis Creed (Michael B. Jordan), che era solo un bambino quando il padre Apollo moriva sotto i micidiali pugni inferti dal rivale Ivan Drago. Oggi, nel sequel firmato da Steven Caple jr., dove Stallone è sia sceneggiatore che produttore (per chiarire i termini del suo coinvolgimento nel progetto) siamo alla resa dei conti. Nel presente, dove, tuttavia, le ombre del passato si allungano. Mentre per il giovane Adonis il vento soffia a favore, sono tempi duri per Ivan Drago e per il figlio Viktor, che tirano a campare a Kiev, in Ucraina, con molta miseria e poche prospettive intorno a sé. Adonis, che vive a Philadelphia con la fidanzata Bianca cui chiede di sposarlo, conquista il titolo mondiale senza troppe difficoltà. Mentre Ivan, che dopo la sconfitta subita nell’incontro decisivo contro Rocky ha perso tutto, moglie compresa, lancia una nuova sfida sul ring: Viktor contro Adonis, come un tempo è stato Ivan contro Apollo, con gli esiti tragici che conosciamo. Con la saggezza della maturità Rocky mette in guardia: il ragazzo russo è grosso, anche se rozzo. Ed è cresciuto nell’odio e nella fame. Adonis, dal canto suo, non avrà “l’occhio della tigre” ma deve per forza affrontare i suoi demoni se vuole diventare adulto e chiudere i conti col passato. La sfida è accettata e lo schema si ripete con ineluttabile circolarità. “Creed II” è un film di padri e di figli dai contorni shakespeariani, dove tutti hanno le proprie battaglie da combattere e tutti sono esseri umani prima che eroi. Viktor ha in comune con il padre l’essere solo una pedina nelle mani del potere, nella Russia che non è più quella della perestroika ma quella nazionalista putiniana, dominata da gerarchi ansiosi di riportare il Paese agli antichi fasti. Con Adonis condivide invece il senso di solitudine e abbandono di chi è stato condannato dalla vita a crescere senza padre o senza madre, all’ombra dei loro fantasmi. Lo sport movie schiva le coordinate del “revenge” e vira verso il melò più classico e puro (con lo sguardo rivolto a Capra), perché il desiderio di riscatto personale è più forte della vendetta e permette di superare i traumi gettando le basi per un nuovo inizio. E una nuova leggenda. —







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