Stregati dal Mago Thomas Mann a Trieste

Mario Andreose parla oggi del suo “Uomini e libri” all’Hotel Duchi d’Aosta
Di Alessandro Mezzena Lona

La compagnia non è delle migliori. Perché, alla fine, gli scrittori davvero ricchi si trovano fianco a fianco con le strapagate star del calcio, certi immobiliaristi senza scrupoli, finanzieri d’assalto. E comunque, per entrare nella banda dei danarosi, devono vendere almeno due milioni di copie. Performance che, finora, è riuscita a pochi eletti: Ken Follett e J.R. Rowling, Dan Brown, Paolo Coelho.

Eppure, sembra che da un po’ i sogni degli scrittori siano cambiati. Non aspirano più a entrare per sempre nei sacri recinti della letteratura. Preferiscono avere soldi pronta cassa. Tanto che il “New York Times”, un po’ di tempo fa, ha titolato: «Diventa ricco velocemente, scrivi un libro milionario». Portando all’attenzione dei lettori la vera rivoluzione dell’editoria. Non gli e-book, ma il desiderio di sfornare a ritmo sostenuto libri capaci di collezionare il maggior numero di copie possibile.

Certo, un bel cambiamento agli occhi di chi ha trascorso una buona parte della propria vita a occuparsi di carta stampata. Stando fianco a fianco con i più illuminati, e ormai leggendari, editori italiani. Ed è proprio da qui, dai ricordi di com’erano le “fabbriche dei libri” nel passato che si incrociano con le nuove tendenze dell’editoria mondiale, che nasce “Uomini e libri”. La raccolta di articoli scritti per la “Domenica” del “Solo 24 Ore” che Mario Andreose ha raccolto in volume con Bompiani (pagg. 263, euro 11). Domani, l’autore ne parlerà a Trieste, all’Hotel Duchi d’Aosta in piazza Unità alle 18, con Tatiana Rojc, docente e saggista che parte proprio da questo per una serie di incontri con l’autore da lei condotti sempre nel medesimo spazio.

Veneziano, coinvolto da Alberto Mondadori nell’avventura del Saggiatore, diventato da qualche tempo direttore letterario della Rcs Libri, Andreose trasforma questo libro di ritratti e riflessioni in un fuoco d’artificio di ricordi. Che portano in scena l’impiegata che si rifiutava di maneggiare il manoscritto di “American psycho”, il sulfureo romanzo di Breat Easton Ellis, per non farsi contaminare dalla storia di un serial killer yuppie. Ma anche Alberto Moravia ferito a tal punto dall’innamoramento di Elsa Morante, sua moglie, per un altro uomo da spingerlo a scrivere “Il disprezzo”. In cui immagina la morte della fedifraga compagna dello scrittore-sceneggiatore.

Nei racconti di Andreose c’è l’editoria del rabdomante Bobi Bazlen, che credeva nei libri fino a ispirare la nascita dell’Adelphi, e quella di Valentino Bompiani, che dopo aver legato la sua avventura editoriale al talento di Moravia, si amareggiò tantissimo per le misere sei righe a lui dedicate da Alain Elkann nella biografia sull’autore degli “Indifferenti”. Ci sono i capricci di Oriana Fallaci, che esercitava la sua tirannide sulle case editrici dal romitaggio newyorchese, e gli intramontabili intrallazzi del Premio Strega, attorno a cui si sollevò un polverone nel 1968 quando Alberto Bevilacqua trionfò al posto di Pier Paolo Pasolini.

Splendido il ricordo del periodo triestino di Andreose. Quando cercava «conforto alla noia del servizio militare» tirando tardi, tra una birra e l’altra, con un gruppo di ragazzi perbene un po’ “bohémiens”. Tutti “thomasmanniani” di ferro. Capaci di citare a memoria passi dei “Buddennbrook”, della “Montagna incantata”, del “Doctor Faustus”. Lettori instancabili stregati dal Mago Mann.

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