Sul caravan due donne disperate nella profonda provincia americana

Il romanzo d’esordio di Jennifer Pashley edito da Carbonio è un viaggio cupo e potente nel degrado umano e sociale



Potente, duro, cupo. Ma allo stesso tempo intimo e struggente, disperato, profondo. Il romanzo “Il caravan” (Carbonio, pp. 336, euro 16,50, traduzione di Anna Mioni) di Jennifer Pashley non lascia indifferente il lettore, lo strapazza a dovere e gli presenta un mondo che, per certi versi, nessuno si sognerebbe di immaginare. Un mondo di donne violente e pericolose che nascondono dietro al cliché della femminilità intenti spietati, fantasie e pensieri minacciosi e autentiche crudeltà che non temono di mettere in atto. Tutto in nome della vendetta o guidato da un desiderio di giustizia o magari di rivalsa? No, perché la punizione viene inflitta a chi è più debole, a chi è già vittima: quasi che accumulare il male e il dolore servisse a infierire definitivamente sulla persona che più si odia, se stessi.

Siamo a South Lake, nel Sud degli Stati Uniti. La voce narrante appartiene a Rayelle, ventitré anni e già un sacco di amarezze alle spalle: il cattivo rapporto coi genitori, gli uomini sbagliati con cui continua a finire, una figlia non voluta e morta tragicamente ancora piccolissima per una sua disattenzione. “Nessuno la vuole una ragazza triste come te”, le dice sua madre. Il padre si chiamava Ray e amava la sua Chevrolet Chevelle, perciò ecco Rayelle, un nome da bianchi poveri. La vita della ragazza ormai è costretta in un campo di caravan da quando sua figlia è morta. Aveva chiamato la bambina Summer come la cosa che ama di più ma adesso è lei che va in giro gattonando lungo le pareti, non riesce più a camminare senza aggrapparsi a qualcosa. Poi, in uno degli infimi bar in cui si rintana per rimorchiare, Rayelle conosce Couper, un uomo maturo e affascinante, che sa il fatto il suo, un giornalista investigativo che sta indagando su una serie di ragazze scomparse. Con lui la passione sembra trasformarsi in qualcosa di profondo: “Gli metto le mani sul viso, gli faccio scorrere le dita lungo le guance, poi gliele infilo tra i capelli su per le tempie. Ha la bocca come un forno. Sento la spina dorsale cedere e all'improvviso emetto un suono sordo, e lui si ritrae.”

Di lui tutte le donne si innamorano, le racconta Couper, e Rayelle forse ha bisogno di questo. La donna si unisce al giornalista: su una Gran Torino a cui è agganciata una minuscola roulotte i due attraversano insieme le desolate aree rurali del Sud degli Usa, tra parchi di caravan, motel e stazioni di servizio tutte uguali. La vita di Rayelle è così: “Io sono a mio agio in queste due situazioni: in un bar, con degli sconosciuti, a bere per tornare di nuovo felice. In macchina, con uno sconosciuto, a scopare con qualcuno che, per un istante, mi fa sentire come se fossi di nuovo felice”.

Ma nel racconto si inserisce una seconda voce femminile che si alterna a quella di Rayelle. Appartiene a Khaki, la sua cugina coetanea, a cui la vita sorride ancora meno. È misteriosa Khaki, è pericolosa: quando erano piccole, a volte si infilava nel letto di Rayelle e allungava la mano come un serpente dentro la sua maglia e nei calzoncini perché l'unica cosa che riteneva di saper fare era toccare una persona e fare in modo che la desiderasse e la amasse. Adesso Khaki è sempre in giro, Georgia, Tennessee, South Carolina; in ogni posto con una ragazza diversa che ha bisogno di aiuto e protezione, ogni volta pronta a trasformarsi assumendo la voce, il taglio di capelli e il colore degli occhi della ragazza di turno. “Le ho amate tutte in quel modo. Nel modo in cui odiavo con tutta me stessa le cose che mi erano state imposte, che avevano lasciato ferite profonde e cicatrici”. I percorsi delle due cugine fatalmente si intrecciano di nuovo, svelano a poco a poco le tracce conturbanti di un thriller psicologico fatto di disagio sociale e violenze domestiche in una storia on the road nella provincia americana. Jennifer Pashley usa un linguaggio crudo che a tratti diviene poetico e costruisce un approccio maschile nel punto di vista delle protagoniste che rende questo suo romanzo d'esordio una lettura forte e indimenticabile. —

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