«Sul set di Medea mi sono ribellata al grande Pasolini»

di Mary Barbara Tolusso
Pasolini il comunista, l'anarchico, il profeta. Pasolini il romanziere, il poeta, colui che anticipò meglio di chiunque gli effetti del consumismo, il regista che decretò il potere come l'unica forza anarchica, perché fa davvero quello che vuole. Il perenne provocatore, animo inquieto con troppe illuminazioni in testa, capace di apparire reazionario per rovesciare le prospettive, per dimostrare spesso come i buoni siano cattivi mentre i cattivi siano buoni. A quarant'anni dalla morte Pasolini rimane un mistero. E non certo per le sue istanze, i suoi proclami, la sua febbre di verità. Ciò che più continua a sorprendere, del suo geniale ecclettismo, è la plasticità dei registri. Capace di proporre panorami estetici al limite della tolleranza, ma anche autore di grazia assoluta, soprattutto in quelle poesie friulane che in pochi versi incidono un paesaggio, una cultura, uno stato d'animo. Come lui stesso diceva, la lingua friulana era un mezzo per fissare "una melodia infinita". Le poesie dialettali, in fondo, rimangono l'apice della sua opera in versi, più riuscite di quelle in italiano dove la percezione ideologica della realtà indebolisce le immagini. Ed è proprio il periodo friulano che sarà protagonista della serata con Piera Degli Esposti e il pianista Alexander Gadjev (31 ottobre, Teatro Verdi di Pordenone), grazie alla Fondazione Pordenonelegge.it e al Teatro Verdi di Pordenone. "PPP Nuovi versi per musica antica", si intitola lo spettacolo. Piera Degli Esposti, attrice irriverente e passionale, tra le più grandi che l'Italia possa vantare, con Pasolini esordì nella "Medea", tra le sue prime prove cinematografiche. Difficile pensare alla vicinanza di due temperamenti così energici, talentuosi, tesi. Se si potesse definire quello di Pasolini con un unico aggettivo sarebbe: «Burrascoso», risponde Piera Degli Esposti.
Si sente in debito con Pasolini?
«Di lui ho sempre ammirato una cosa: mentre io ho il piacere del consenso, Pasolini no. Affrontava dissenso, critiche, ferocia, l'ho constatato in più occasioni, su questo fronte mi sento in debito con lui, per le sue lezioni di coraggio e audacia. Era capace di proiettare all'esterno l'inferno che aveva dentro».
Una leggenda dice che lei si sottrasse ai primi piani nella "Medea" perché le erano state tolte diverse battute. È vero?
«È vero. All'inizio io ero l'unica ancella, poi diventammo due. In più mi aveva scelta perché disse che gli piaceva la mia faccia perché non era una faccia da attrice. Allora ero troppo giovane per capire che il cinema non è solo parola, ma anche espressione fisica. Quindi mi offesi e nel momento in cui la cinepresa doveva andare sul mio viso io cedetti il posto a un'altra attrice, a sua insaputa. Non disse nulla, nonostante il mio gesto fosse piuttosto grave, mi aveva scelto proprio per il mio viso. Fu la mia prima azione contro di lui».
E la seconda?
«Fu quando dovevamo alzare tutti gli occhi verso la Callas. Io non solo non alzai gli occhi, ma mi coprii pure il volto con un velo».
Sembrava davvero innamorato della Callas.
«A mio avviso con la Callas era emersa la sua parte maschile. Forse per il temperamento da pantera di Maria, forse per la voce che lo incantava, sta di fatto che una volta entrai di sorpresa in camerino ed erano teneramente abbracciati. Oltre ai viaggi in Africa con Dacia Maraini e Moravia, cioè in quattro, Maria e Pier Paolo sono stati spesso in vacanza insieme, in un'isola greca, e le foto che lo ritraggono in barca con lei mostrano un uomo diverso. Insomma a mio avviso la sua parte femminile non escludeva totalmente le donne».
Lei è stata una sorta di musa per diversi autori. C'è stata una tipologia di scrittori molto attratta dal suo temperamento. Anime prensili della sua autenticità?
«Credo sia imputabile al mio essere impudica, in qualche modo, alla mia capacità di rischio. Sono stata una calamita per certi artisti e ne sono lusingata, forse si sono invaghiti del mio modo di parlare che era piuttosto "visionario", puntato più sulle immagini e sulle associazioni rispetto alla logica».
Lo stesso non si può dire per il suo rapporto con Carmelo Bene…
«Questo l'ho capito più tardi infatti. Mi inseguì per lavorare insieme, fondamentalmente era curioso della mia personalità. Per lui le donne erano belle, ornamentali oppure devote. Fu una battaglia, dissi di no ma lui volle che glielo dicessi di persona, non al telefono e quando lo vidi era talmente affascinante che cedetti. Dall'inizio le prove si rivelarono crudelissime. Lui voleva una devota e io non potevo esserlo. Da quel momento iniziò una guerra su tutti i fronti, finché me ne andai. Voleva distruggere un "disturbo", allora non l'avevo capito».
Tuttavia la stima era rimasta.
«Me l'ha confermato un suo amico, proprio l'anno scorso. Mi raggiunse in camerino, al Teatro di Siracusa, mi disse che Carmelo sosteneva che ero l'unica persona che sapeva parlare. Gli risposi che io avevo avuto un rapporto completamente diverso con Bene».
Rileggendo Pasolini, ora, ritrova l'uomo che ha conosciuto?
«Sì. Ritrovo la profondità delle sue radici. Ritrovo quella verticalità che mi piace rispetto all'espansione di cui tutti oggi sembrano avere bisogno».
Molto si è scritto su una sorta di "prevedibilità" della sua morte. Eppure non dava l'impressione di un masochista.
«Per me è molto difficile crederlo. Sono molto amica della titolare del ristorante in cui Pasolini mangiò l'ultima notte. Giuseppina, la proprietaria, mi ha sempre confermato come Pier Paolo quella sera fosse particolarmente felice, energico, pieno di progetti. Mi risulta difficile credere che avesse voglia di morire ma come sappiamo, sulla faccenda, ci sono due scuole di pensiero».
Ha mai incontrato qualche altro intellettuale, italiano o straniero, sostenuto da quella stessa forza?
«Forse l'unico che me lo ha ricordato è Erri De Luca. Ho letto i suoi scritti, interpretato dei suoi lavori e ho ritrovato lo stesso tipo di scandalosità, la necessità di vivere anche in modo crudo le parole».
Lei spesso ha dichiarato di avere bisogno di essere accettata, né di soldi né di lusinghe. Si sente ancora così?
«Per me ricevere affetto è la cosa più importante, senza ombra di dubbio, non esiste denaro o popolarità che possa competere. Non sono mai stanca di avere affetto, naturalmente non mi sto riferendo all'affetto del pubblico. Piuttosto agli amici intimi, di cui sono piena, ma non mi bastano mai. Forse questa è una cosa un po' onnivora, tradisce naturalmente una carenza. Proprio ieri sera parlavo con una produttrice che mi confidava di aver allattato sua figlia per tredici mesi, una cosa bellissima, mentre lei non ne era così entusiasta. Dico questo perché io stessa sento con quella stessa forza di attaccamento, il bisogno di affetto degli amici».
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