Sulla Napoleonica inseguendo un cane che torna a guardare i tramonti sul mare

TRIESTE Camminare è un esercizio nobile come poche altre attività umane, più discreta e meno spettacolare di altre, forse, ma sicuramente più democratica e addirittura meditativa. Camminare senza fretta ovviamente, senza una meta, senza lo stress di un cronometro o il respiro affannoso di una corsa. Poi ogni tanto fermarsi, guardarsi intorno, trovare spunto o ispirazione, riflettere, conversare, con qualcuno o con se stessi. Se poi passeggiamo in un luogo come la strada panoramica che da Prosecco porta a Opicina, la famosa Napoleonica, allora il tempo rallenta fino quasi a fermarsi. È un percorso pedonale di circa cinque chilometri, più diversi sentieri alternativi immersi nel bosco, e offre ai visitatori uno spettacolo fantastico in ogni stagione dell’anno. La strada è a trecento metri sul livello del mare, praticamente sul profilo dell’altopiano carsico che incornicia la città, mentre davanti si spalanca agli occhi dei visitatori il golfo di Trieste che visto da lassù sembra quasi un panno di seta azzurro. In lontananza, nelle giornate limpide, si può vedere la costa fino a Grado e Lignano. A est la prospettiva è ancora più ampia, sotto l’altopiano la città si stende in tutta la sua grazia e, oltre ancora, il panorama si apre fino ad abbracciare tre paesi: Italia, Slovenia e la Croazia fino al faro di Punta Salvore.
Scusate, non mi sono ancora presentato: il mio nome è Franz e faccio l’investigatore privato...niente di che, non lasciatevi suggestionare, sono solo uno che pedina mogli e mariti, uno che passa il suo tempo a rammendare buchi e limare corna. Poco altro. Camminavo dopo aver mollato l’auto nel parcheggio di Prosecco, è il percorso più facile, perché affronti la dolce ma stancante salita con le energie dell’andata, mentre al ritorno ti lasci condurre dalla morbida discesa. Ero lì per lavoro a dire il vero, per chiudere un’indagine, niente di grave, un caso molto toccante, uno di quegli incarichi pro bono che ogni tanto accetto per migliorare il mondo. Adoro guardare i rocciatori nella prima parte del sentiero, lì la montagna è ripida, ha un taglio netto sulla parete; ci sono persone di tutte le età, giovani, anziani, tutti ad arrampicare per pochi metri o fino in cima alla parete. Come li invidio! Io soffro di vertigini anche a prendere il caffè sul terrazzo di casa al primo piano. Sul sentiero, che inizia poco dopo, si può incrociare un’umanità piuttosto interessante, a qualche chilometro c’è la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di matematica, fisica e neuroscienze, quindi è frequente incrociare studenti o professori di ogni nazionalità che parlano le lingue più disparate, poi un sacco di turisti, gente del posto, innamorati mano nella mano che, sul cordolo di cemento, negli anni hanno lasciato un segno del loro amore, con dediche, scritte e incisioni varie. La Napoleonica è in un certo senso la strada degli innamorati, accanto alle panchine capita ogni tanto di trovare qualche preservativo. Ah, l’amour!
A spegnere la poesia ci pensano poi i geni del Comune. Non essendoci un solo bidone delle immondizie nell’arco di 5 chilometri, puoi trovare appoggiati sul bordo del sentiero un certo numero di sacchetti di plastica con le cacche dei cani, perché la gente educata le raccoglie sì, ma non sa dove metterle! C’è chi le butta nel bosco e chi le appoggia sul muretto pensando di raccoglierle al ritorno, ma spesso se le dimentica. Non un solo fottutissimo cestino per tutto il percorso! Ma i veri fenomeni che puoi trovare sulla Napoleonica sono i corridori o camminatori del cordolo: camminano solo sul bordo di cemento che separa il sentiero dal bosco a valle della strada, non scendono mai dal cordolo, e se incrociano qualcuno e sono costretti a scendere sporcando le scarpe da ginnastica firmate, imprecano o lanciano sguardi carichi d’odio. Senza Basaglia, probabilmente, questi personaggi non sapremmo neppure che esistono.
Sul cordolo, dicevo, ci sono le infinite dediche degli innamorati o qualcuno in carenza di attenzione che ha voluto lasciare un segno del suo passaggio: “Luisa”, con disegnato un cuore, “Alan e...” “Forever RB” fino alle panchine che raccontano l’amore di Ernesto ed Elvia, amore che dopo la dipartita di lui la moglie ha voluto mantenere vivo donando al Comune undici panchine di pietra in memoria del marito. Ed era proprio lì che il mio caso trovava il suo lieto fine: Toby, un pastore maremmano di undici anni, scappato di casa qualche giorno prima, era seduto accanto a una panchina e guardava il panorama.
La signora Gloria, di 89 anni, mi chiamò disperata chiedendomi di trovarlo, mi raccontò la sua vita, l’amore per suo marito, la perdita di lui due anni prima, l’amore di entrambi per Toby e la loro abitudine di andare con lui in Napoleonica ogni giorno a osservare insieme il tramonto. Non piansi solo perché sono un vero duro! Arrivai alla panchina dove probabilmente sedevano Gloria e Zdravko e lo vidi, bianco e maestoso a percepire odori mai sopiti, ricordi mai cancellati. “Andiamo Toby, è ora di tornare a casa”. Gli feci annusare il fazzoletto di Gloria e il suo guinzaglio, mi sedetti accanto a lui e guardammo insieme il tramonto prima di riaccompagnarlo a casa. “Quanti ricordi vero?”. Mi guardò per un istante quasi ad annuire. Caso chiuso. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo