Sulle tracce di Del Giudice “Un uomo sottile” scomparso nella nebbia

Pier Paolo Vettori si ispira alla figura dell’autore veneziano per raccontare una vicenda di smarrimento e sottrazione 
Federica Manzon

la recensione



Questo romanzo racconta di un giovane che si interroga su un certo personaggio, chi fosse non importa, perché a interessarlo è il rapporto che il personaggio intrattiene con la scelta tra “scrivere” e “non scrivere”. Così Calvino sintetizzava quel capolavoro che fu il romanzo d’esordio di Daniele Del Giudice “Lo stadio di Wimbledon”, uscito nel 1983. Un libro, sospeso tra Trieste e Londra sulle orme di Bobi Bazlen, che negli anni ha affascinato tutti gli aspiranti scrittori, perché mostrava un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto. Ma quel libro nascondeva anche qualcosa di più perturbante, l’intuizione che un filo pericoloso legava il giovane Del Giudice a Bobi Bazlen: un destino rarefatto e di sottrazione alla parola, che in Bobi fu dominato dal rifiuto a scrivere se non “note a pié di pagina” e in Del Giudice fu funestato dall’ombra dell’Alzheimer precoce. Lo scrittore veneziano, anche prima della malattia, aveva con la scrittura un rapporto guardingo, essenziale, i suoi libri erano rarefatti e limpidi come il volo che tanto amava. La malattia l’ha portato a scrivere pochissimo e allora la sua figura è andata sempre più avvicinandosi alla leggenda discreta dell’intellettuale triestino che non scriveva nulla, e le due figure si sono quasi sovrapposte lanciando un richiamo irresistibile agli scrittori. Così, la sintesi del romanzo di Del Giudice su Bazlen è anche una buona sintesi dell’ultimo lavoro dello scrittore piemontese Pierpaolo Vettori, “Un uomo sottile”, in libreria per Neri Pozza (pagg. 174, euro 17), vincitore della V edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza. Vettori, o meglio, il protagonista che molto gli somiglia, si mette sulle tracce di Daniele Del Giudice, chiamato per tutto il libro con l’acronimo DDG che ricorda il gigante gentile di Roald Dahl. Se per il protagonista dello “Stadio di Wimbledon” la domanda decisiva era “perché Bobi B. non ha mai scritto?”, a guidare Vettori è l’ossessione del perché DDG ha scritto così poco. Cosa lo fermava? Era diventato lui stesso Bobi Bazlen? La questione è letteraria e personale insieme. In queste pagine il protagonista segue le tracce del romanziere Del Giudice come un cacciatore di fantasmi capace di dialogare non tanto con chi l’ha conosciuto, che tace per riserbo e pudore, ma piuttosto con i personaggi dei suoi romanzi. Ognuno di loro racconta frammenti di finzione che, in quanto tali, si avvicinano al vero sentire. «Sai perché faceva fatica a scrivere?» dice Anne, protagonista del “Museo di Reims” «Perché non ne vedeva più il senso. Secondo lui, stavamo arrivando a un punto di non ritorno. La maggioranza delle persone si sarebbe accontentata di nozioni rapide, veloci, pratiche. Tutto il resto avrebbe perso importanza. Chi avrebbe letto i suoi libri? Chi li legge oggi? E così preferiva volare».

Ma il romanzo di Vettori è anche la storia della malattia dell’adorata moglie Laura, che spinge il protagonista fino a Trieste per tentare un’operazione rischiosa che non la faccia svanire a se stessa, e possa restituirle la memoria di chi sono stati, a partire da un ricordo veneziano da cui tutto ha avuto inizio. Il breve istante in cui, su un ponte sul Canal Grande, un uomo magro e gentile li aveva avvicinati per chiedere l’ora, e una volta ricevuta l’informazione aveva sgranato gli occhi e detto: «Sì, ma di che anno?». “Un uomo sottile” non è per la letteratura quello che fu “Lo stadio di Wimbledon”, ma ha il pregio di farci arrivare vicinissimi a uno scrittore che aveva capito come il mondo fisico stesse cambiando e voleva descriverlo nella sua essenza, guardando agli oggetti e alla meccanica (del volo) nel modo più cristallino possibile, perché solo così avrebbe potuto combattere contro lo svanire irriducibile dei corpi e arrivare vicino al nocciolo della soggettività, cioè noi stessi. —

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