Svevo, grande distratto dimenticò sua figlia durante una passeggiata

In famiglia, che Italo Svevo fosse uno sbadato lo sapevano anche i muri. Ma quella volta, a Salsomaggiore, lo scrittore riuscì a stupire perfino sua moglie Livia. Mentre lei preparava le valigie, perché la vacanza era ormai terminata, lo scrittore aveva deciso di fare quattro passi con la figlia Letizia. Dopo un po’, però, era rientrato da solo. E alla domanda: «Dove xe la putela?», aveva risposto con espressione trasognata: «Quale putela?». Lei, la bimba, era rimasta ad aspettare che qualcuno andasse a recuperarla davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli. Si era fermata lì, mentre suo padre proseguiva la passeggiata. Immerso in chissà quali pensieri.
Questo è solo uno degli episodi buffi che si possono raccontare sul signor Ettore Schmitz, celebrato scrittore del ’900 con lo pseudonimo di Italo Svevo. Lui, che ripeteva spesso «dimentico sempre tre cose: i nomi, le date... e la terza? L’ho dimenticata», quando incontrò casualmente a Milano il poeta Eugenio Montale, continuò per tutto il tempo a chiedergli se fosse parente di Domenico Montale, commerciante in resine e vernici. «E da allora un sentore di trementina restò sempre nei nostri rapporti, che non riuscii mai a portare a lungo sul piano della letteratura», raccontava il futuro Premio Nobel.
Del resto, a voler riscrivere la storia della letteratura guardando i suoi protagonisti dal buco della serratura, ne saltano fuori di belle. Basta leggere “Vite segrete di grandi scrittori italiani” per mettere assieme una galleria di ritratti assai frizzante. Porta la firma di Lorenzo Di Giovanni, laureato in Lettere che lavora da anni nell’editoria, e Tommaso Guaita, illustratore e fumettista, ed è pubblicata da Electa (pagg. 383, euro 19,90).
Da Dante a Pier Vittorio Tondelli, da Carlo Goldoni a Italo Calvino: di episodi buffi, imbarazzanti, strani, ce ne sono tantissimi. Tracciano un quadro della letteratura italiana formato portineria. Che potrebbe aiutare a superare, però, quella diffidenza che molti provano quando affrontano conclamati, e un po’ indigesti, capolavori. Sempre che non si confonda la vita degli autori, i pettegolezzi, con la loro indiscussa capacità di lasciare ai posteri libri di altissimo livello.
L’ira funesta di PPP
Giocava a calcio anche in giacca e cravatta, Pier Paolo Pasolini. Ma non era per niente facile marcarlo, perché quando si trovava una palla tra i piedi riusciva a ipnotizzare anche gli avversari più talentuosi. Guai, però, a giocare con lui a carte truccate. Ne sa qualcosa Bernardo Bertolucci che decise di dare vita, poco prima che il poeta finisse ammazzato all’idroscalo di Ostia, a una sfida calcistica tra la troupe di “Novecento” e quella di “Salò”. Il problema è che, nella squadra che giocava contro l’autore degli “Scritti corsari”, c’erano due calciatori professionisti del Parma. Ovviamente, la formazione del poeta friulano venne sconfitta. E lui diede sfogo a tutta la sua rabbia.
Elsa, l’amante respinta
Innamorarsi di uno come Luchino Visconti, per una donna, non era una grande idea. Elsa Morante lo scoprì quando il suo matrimonio con Alberto Moravia era già in crisi da tempo. Il problema è che il regista di “Senso”, “Il gattopardo”, “Morte a Venezia” preferiva di gran lunga gli uomini e cercava di tenere alla larga la grande scrittrice de “L’isola di Arturo”. Tanto che lei, esasperata, un giorno perse la pazienza e si presentò in piazza San Marco, a Venezia, dove sapeva che Luchino stazionava al caffè con amici e colleghi. Urlando il nome dell’innarrivabile oggetto del desiderio, si sollevò la gonna davanti a tutti. Ottenendo, come risposta, un caustico: «Ci mancava solo la pazza».
Giacomo, infinito goloso
Autore di versi sublimi, prosatore e pensatore di inarrivabile bravura, Giacomo Leopardi aveva un sogno grandissimo: allontanarsi dal natio borgo selvaggio Recanati e fuggire dalla casa di papà Monaldo. Quando finalmente l’amico Antonio Ranieri, giovane e ambizioso letterato campano, riuscì a far arrivare l’autore dell’«Infinito» a Napoli, cominciarono guai seri. Anche perché il conte non amava affatto lavarsi. E si ingozzava di taralli dolci e gelati. Tanto che, ancora oggi si dice che il pasticcere partenopeo Vito Pinto, con i soldi incassati dal conte-poeta riuscì a comperarsi un titolo nobiliare.
L’ingegnere mangione
Così raffinato nell’impastare la lingua dei suoi romanzi, così bravo a costruire trame che ancora oggi affascinano gli studiosi di letteratura e i lettori, Carlo Emilio Gadda era un gran mangione. Capace di spazzolare cene pantagrueliche senza battere ciglio. Così, quando l’editore Livio Garzanti una sera invitò lui e altre persone nel rinomato ristorante romano “Passetto”, l’autore del “Pasticciaccio brutto de via Merulana” e “La cognizione del dolore” cominciò a pregustare una serata assai interessante dal punto di vista culinario. Peccato che l’ospite si limitò a ordinare una pizza e l’ingegnere-scrittore, per non sfigurare, dovette accodarsi.
Amori sfortunati di Cesare
«Non fate troppi pettegolezzi», chiedeva Cesare Pavese nel biglietto che lasciò sul comodino dell’albergo dove si suicidò il 27 agosto del 1950. Ma non parlare dei suoi amori sfortunati, per amici e biografi, da allora è stato praticamente impossibile. Se è vero che il grande autore de “La luna e i falò” decise di farla finita dope essere stato sedotto e abbandonato dall’attrice Constance Dowling. E che qualche anno prima si beccò una pleurite perché aspettò sotto la pioggia una ballerina a cui aveva fissato un appuntamento. Lei, ovviamente, non si presentò.
Così abbaiava Curzio
Niente, nella vita di Curzio Malaparte, poteva essere meno che roboante. Così, anche l’amore per gli animali dello scrittore de “La pelle” e “Kaputt”, doveva essere esagerato. Ogni volta che era ospite in una casa nuova, Kurt Erich Suckert (questo il suo vero nome) si affacciava alla finestra o al balcone e iniziava a ululare per fare la conoscenza con tutti i cani che si trovavano nella zona. Del resto, dopo le folgoranti bugie che ammaniva ai suoi biografi, quello per i quattrozampe con la coda era l’amore più grande.
Il brutto “viaggio” del poeta
Nemico dei massoni, soldato sul fronte della Prima guerra mondiale, il poeta Giuseppe Ungaretti non aveva mai bazzicato con le droghe. La prima volta che decise di fumare una sigaretta alla marijuana, a New York, non solo non riuscì a fare il classico viaggio verso i promessi paradisi artificiali. Ma rimase profondamente deluso dalla tanto decantata erba.
alemezlo
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo