Tahar Ben Jelloun «L’insonnia è la paura di cadere in un buco nero»

A 70 anni ha scritto un giallo: «Ora posso permettermelo» Il collega Houellebecq? «Letteratura della mediocrità»

l’incontro



Si intitola “Insonnia” l’ultimo romanzo di Tahar Ben Jelloun, edito da La nave di Teseo e presentato ieri a Pordenonelegge davanti a una platea gremita. «Naturalmente ho sofferto di insonnia - ha specificato lo scrittore, poeta e saggista marocchino - un problema che ho fin dalla giovane età. Di fatto c’è un episodio preciso che ha segnato l’incipit di questa malattia. Ha radici 50 anni fa, quando ero militare, una notte ci fu un intervento disciplinare e in cento uomini fummo chiusi in una stanza molto stretta. Da allora ho iniziato a soffrire d’insonnia. Oggi continuo a non dormire, ma forse non più per quel trauma. Un ottimo rimedio per addormentarmi è ascoltare musica. Oppure ascoltare vecchie registrazioni radiofoniche di programmi culturali degli anni ‘60».

Non manca di ironia Ben Jelloun, proprio come il registro del suo ultimo romanzo, non a caso definito un thriller psico-comico. La storia è quella di uno sceneggiatore di Tangeri, malato d’insonnia appunto, che per poter dormire bene deve uccidere qualcuno e sua madre sarà la sua prima vittima. «L’idea è nata molto tempo fa, quando mi sono occupato per tre anni di mia madre, che era gravemente malata. La sera in cui morì ho pensato che da quel momento in poi non avrei più potuto riposare mentre, del tutto inaspettatamente, dormii benissimo per tutta la notte. Ho capito poi che questo distacco era stato una liberazione per lei e per me. Soffrivo con lei, aveva una malattia ingiusta, per questo uso la parola “liberazione, amavo tantissimo mia madre, è grazie a lei che sono diventato scrittore».

Scrittore di cui non si contano più i libri tra raccolte in versi, saggi, romanzi. Certo è un po’ inaspettato questo ultimo romanzo, una sorta di thriller che non assomiglia ai suoi precedenti: «Quando ho compiuto 70 anni mi sono detto che ero arrivato a un’età in cui potevo permettermi qualcosa di diverso, ho sempre avuto in mente di scrivere un giallo, ma prima c’erano altre cose da fare». A proposito di letteratura non ha peli sulla lingua, d’altra parte è dichiarato in questo stesso romanzo che, per esempio «I gialli di Robbe-Grillet fanno addormentare, sono una sorta di sonnifero», mentre ieri ha aggiunto che «Houellebecq fa l’effetto contrario, è un eccitante, quando esce un suo romanzo sono tutti eccitati, ma è tipico del consumo di una certa letteratura della mediocrità».

Tornando a “Insonnia” il plot ci restituisce anche una chiara metafora. La trama infatti prevede un protagonista che non dorme, ma la volontà di non dormire nasconde qualcos’altro, a livello inconscio: «Di solito chi non vuole dormire non trattiene il sonno, ma la paura di morire. Dormire è come lasciarsi andare nel baratro, credo che questa sia anche la causa della mia attuale insonnia. Sarebbe anche bello morire così, addormentandosi, ma la morte non è mai bella, la vera paura, addormentandosi, è quella di cadere in un buco nero da cui non poter riemergere».

Sul legame con il suo paese d’origine, il Marocco, Tahar Ben Jelloun confida di avere, ora, un buonissimo rapporto: «Anche se il problema del Marocco è quella di un governo incompetente, che non riesce a dare una direzione politico-economica al paese. Ciò che personalmente mi sta a cuore è la battaglia per dividere sempre politica da religione». Credenze, in senso religioso, non ne ha: «Casomai ho fede negli uomini – dice – anche se oramai è molto raro trovare uomini di valore. Sono davvero poche le persone che fanno del bene all’umanità».

Per “Il razzismo spiegato a mia figlia”, nel 1998 gli è stato conferito dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il Global Tolerance Award: «Un libro di cui poco tempo fa ho scritto una nuova versione. C’è da dire che il razzismo sta retrocedendo, escluso l’antisemitismo che in Francia mantiene sempre toni molto aggressivi». —



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