Tinto Brass e la sua favola nera a Parigi

Il regista pubblica “Madame Pipì” con Bompiani in coppia con Caterina Varzi

Che Tinto Brass fosse un talentaccio, lo sapevamo già. Fin dai tempi del suo debutto al cinema con “Chi lavora è perduto”, uscito nel 1963. Da tempo, però, il regista veneziano si era un po’ fossilizzato nella riproposizione infinita di storie scollacciate tenute al guinzaglio da film che potevano andare bene, al massimo, per qualche voyeur ormai in disarmo.

Adesso, anche i suoi detrattori più accaniti potranno ricredersi. Leggendo un libretto che Tinto Brass ha scritto a quattro mani con Caterina Varzi. La psicanalista già collaboratrice alla sceneggiatura in film come “Coiffeur pour dame” e “A sangue caldo”. Il romanzo si intitola “Madame Pipì”, lo pubblica Bompiani (pagg. 140, euro 13) e trasporta il lettore in una Parigi un po’ rétro.

Al centro della storia c’è una donna: Antoinette. Una quarantenne che lavora come sorvegliante delle toilette in una brasserie della capitale francese. Una tipa tosta, coraggiosa, carnale, che risveglia le passioni degli uomini. Una mamma determinata e disperata, che deve arrabattarsi per crescere il suo unico figlio: Charlot, che soffre di una sindrome di autismo.

A venirle in aiuto è un medico. Il vicedirettore di un istituto di cura di patologie psichiatriche. Si chiama François, ha dieci anni meno di Antoinette, vede in lei quella che potrebbe diventare la donna della sua vita.

E lei si illude. Prova a uniformarsi ai molti vizi, alle paranoie del giovane medico. Fino a quando capisce che lui la vuole rendere schiava. Plagiandola fino a portarla a pensare che, in fondo, sarebbe meglio ammazzare suo figlio, piuttosto che vederlo rinchiuso per sempre in un manicomio.

Brass e Varzi costruiscono, con qualche concessione di troppo a una volgarità sfacciata e inutile, una favola nera ben calibrata. Che arriva al capolinea con un colpo di scena.

alemezlo

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