Toni Bruna, un brano e un “filmin” «È il “fogo nero” che mi tormenta»

Forse la vera arte deve andare contro ogni logica. Di marketing, di pianificazione, di presenza sui social. «Tanto tempo senza dir gnente. No iera gnente de dir»: ricompare con una newsletter Toni Bruna, fautore di uno dei dischi più belli mai usciti da Trieste, “Formigole” del 2011 (fresco di ristampa, ora disponibile su bandcamp e da Minerva, Lovat, Dedalus). Può sembrare lungo il silenzio discografico del cantautore triestino, ma se a spezzare la pausa è un lavoro come quello che accompagna il nuovo brano “Fogo Nero” - un vero e proprio cortometraggio (“filmin”), di 11 minuti di rara intensità e poesia - il concetto stesso di tempo non ha peso. Pubblicato online, non a caso, nel giorno del solstizio d’inverno. Perché tutto ha significato, ogni dettaglio è un simbolo in “Fogo Nero”. In un bianco e nero che non ha nulla da invidiare a un “Dead Man” di Jim Jarmusch, dove la terra brulla americana è sostituita da quella aspra del Carso e della Ciceria, e il poeta capellone Johnny Depp/William Blake canta in dialetto triestino. Girato da Massimo Mucchiut, «Ho scritto il soggetto – spiega Toni Bruna –, regia e fotografia sono di Massimo, un talento nel raccontare storie con la macchina da presa, onesto e disposto a buttarsi nel fuoco per la sua arte. Non ce ne sono tanti di artisti così ed è un onore lavorarci assieme; Rajko Pertot e Dino Perco hanno ruoli importanti nel film, tanti ci hanno dato una mano ma sarebbe lungo citarli».
Di cosa parla questo “filmin”?
«Usando una struttura classica, quella del “viaggio dell’eroe”, volevo che il racconto fosse una specie di guscio vuoto all’interno del quale trovassero spazio diverse narrazioni e interpretazioni. Il centro non è il racconto in sé ma i simboli e gli archetipi contenuti, che raccontano a diversi livelli storie diverse».
Un vero e proprio viaggio.
«Per me doveva uscire in inverno, quando il sole è basso e le ombre sono lunghe e se perdi l’appuntamento col solstizio ti tocca aspettare l’anno successivo: dalle riprese ad ora sono passati quasi tre anni».
Ci sono alcune scene intense.
«Voleva essere una metafora della nostra esperienza come esseri umani sulla terra, del cammino verso una maggior coscienza di sé e del mondo. Eravamo soli io e Massimo in mezzo al nulla o in paesi abbandonati, spesso di notte, d’inverno: girare certe scene è stato un atto magico molto potente, non l’avevo previsto».
“Fogo Nero” cos’è?
«Dovrebbe essere anche il titolo del disco al quale sto lavorando. È quel fuoco interiore che tormenta e mi porta a scrivere canzoni, che alle volte è una condanna ma di cui non posso fare a meno. Mia nonna Eta lo spiegava bene, mi diceva: “te ieri sempre delicato ti, fin de picio”».
La natura è tema ricorrente.
«Il mutare delle stagioni mi commuove profondamente ogni volta e più invecchio e più si accentua. Questo posto in cui viviamo è davvero meraviglioso, il pianeta intendo. Da quando son tornato a vivere in campagna mi accorgo che c’è questo spettacolo pazzesco che continua con o senza di noi, basta solo fermarsi a osservarlo. Una fonte inesauribile di meraviglia».
È un ritorno sulle scene?
«Sembra di sì, finché dura. Ho ricominciato a fare concerti in maggio, in maniera molto spontanea e vorrei continuare così, senza strategie. Son tornato a suonare nei posti in cui ero già passato anni fa e dove, al di là della musica, abbiamo creato legami con le persone. È bello vedere che le relazioni costruite in maniera onesta resistano al passaggio del tempo e anzi, quasi si fortifichino». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo