Torna “Gasoline”, bibbia della Beat Generation

L’editore Minimum fax ripropone in una nuova versione le poesie-manifesto di Gregory Corso
1981, Boulder, Colorado, USA --- Poet Gregory Corso --- Image by © Christopher Felver/CORBIS
1981, Boulder, Colorado, USA --- Poet Gregory Corso --- Image by © Christopher Felver/CORBIS

Una nuova versione e una nuova edizione delle poesie di Gregory Corso per la casa editrice romana minimum fax, Gasoline (traduzione di Damiano Abeni, prefazione di Fernanda Pivano introduzione di Allen Ginsberg, pp. 260, euro 12,50): un'occasione per rileggere, o per scoprire, una delle voci più originali della Beat Generation americana, in quella che è la seconda raccolta (la cui prima pubblicazione risale al 1958) di questo autore nato a New York nel 1930 e morto a Minneapolis nel 2001.

Non si può fare a meno di leggerne le liriche in riferimento alla sua esistenza tormentatata: figlio di una giovanissima coppia di immigrati italiani del Greenwich Village, abbandonato piccolissimo, Corso cresce in orfanotrofi, riformatori e ospedali psichiatrici. Ancora ragazzo, viene condannato a tre anni di carcere per furto. La sua educazione letteraria avviene in maniera autonoma, fuori dai circuiti istituzionali di scuole e università; anche se poi, guadagnatasi una certa fama come poeta, diversi atenei statunitensi lo ingaggeranno quale docente. L'incontro decisivo è quello del 1951 con il gruppo beat: Jack Kerouac e Allen Ginsberg lo incoraggiano a scrivere, e i suoi primi libri in versi appariranno presso la casa editrice di un altro "padre fondatore" del sodalizio, la City Lights di Lawrence Ferlinghetti.

Gasoline (Benzina) è forse la sua raccolta più significativa, quasi il manifesto di quello che Fernanda Pivano ha definito "un uomo insolente e strafottente, ma con il dono di non dire mai una sciocchezza". I testi presentano alcuni dei temi tipici della sua produzione: i viaggi con le loro impressioni e risonanze interiori (ad esempio in Messico: "Da un finestrino in movimento / scorgo di sfuggita somari / un chiosco della Pepsi Cola, / un vecchio indio sdentato / che sorride accanto a una baracca"), l'amore e i sentimenti, spesso vissuti nel ricordo e con un'attitudine malinconica ("Appendo vecchie foto di ragazze della mia fanciullezza, / con il cuore spezzato mi siedo, gomito sul tavolo, / mento sulla mano, a scrutare / i fieri occhi di Helen, / la tenera bocca di Jane, / l'oro dei capelli di Susan"), ma anche una dura meditazione sulla vita e sulla morte, vista - quest'ultima - senza alcun abbellimento retorico ("Il figlio della signora Lombardi è morto, aveva un mese. / L'ho visto nel salone delle onoranze funebri dei Rizzo, / una testolina violacea, vizzita").

Poeta dell'immediatezza e della spontaneità, Gregory Corso non manca tuttavia di diluire nei suoi versi citazioni e riferimenti agli autori da lui più amati: tra gli altri, Shelley, Marlowe, Chatterton. Sicché il fascino del suo stile risiede proprio in questa mescolanza di linguaggio della quotidianità e, diremmo, della strada con un lessico e un repertorio di immagini che attingono alla tradizione letteraria.

Roberto Carnero

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