Tra fantasmi, vampiri e spiritisti vari c’è una città arcana che cavalca i tempi bui

TRIESTE Anche Svevo non ha resistito. Per quanto ne “La coscienza di Zeno” ne parli con ironia, vero è che neppure lui si è sottratto alle sedute spiritiche che la poetessa esoterica Nella Doria Cambon praticava nel suo salotto. Esiste uno scritto a proposito, “Svevo e la spiritista”, a firma di Riccardo Cepach. Ma non è certo l’unico nome illustre sedotto dall’occulto. Accanto a lui possiamo affiancare quelli di Thomas Mann, Conan Doyle, Rimbaud. Per non parlare di Victor Hugo che ne fu ossessionato. Trieste in tal senso ha la sua fama. Nei circoli occultisti insieme a Torino, Roma, Bologna è da sempre considerata una delle capitali dell’occulto.
Negli anni ’90 si tenne proprio qui, al Castello di San Giusto, il Festival della Magia che convocò nelle sale della fortezza satanisti e maghi che, a dire la verità, di spaventoso non avevano nulla. In ogni caso Trieste ha una sua mappa arcana. Lisa Deiuri, studiosa di fantastico e letteratura gotica, la esamina da anni: «C’è una Trieste nera collegata a tutte le leggende associate alla massoneria», dice. Siamo nell’Ottocento, quando in Europa c’è una nuova ondata antimassonica e anche qui si diffondono leggende che associano la massoneria al satanismo: «Queste tendenze erano cicliche, quando il potere, ovvero la Chiesa, decideva che le logge dovevano essere chiuse, ecco che iniziavano a circolare i racconti di case infestate. Se leggiamo scrittori come Gratton, autore di “Trieste segreta”, possiamo notare come queste presunte case poltergeist appartenessero tutte a massoni. O furono fatte costruire da architetti massoni». Un esempio è il palazzo Rotonda Pancera, in via Felice Venezian. L’aveva commissionata il massone Domenico de Pancera nel 1806: «I sotterranei della villa sono circolari e hanno caratteristiche che confermano la volontà di costruire un tempio massonico. Dopo le varie bolle di scomunica papale, la leggenda voleva che i massoni, una volta morti, fossero destinati a infestare le loro case. Da qui la credenza di “presenze” oscure in questa villa». Lo stesso destino è toccato a Casa Chiozza, agli omonimi portici: «E in piazza Goldoni, proprio nel palazzo di fronte al Cremcaffè, c’è tuttora inserita una Madonna del Diavolo, collocata dagli operai mentre edificavano la casa di un massone, per esorcizzare il palazzo». Per quanto invece l’Est e i Balcani siano la patria del vampirismo, non esistono veri e propri succhiasangue triestini. Dall’Istria alla Romania la credenza popolare portò a periodi di vera isteria collettiva: «Tanto che nel XVIII secolo Maria Teresa fu obbligata a inviare i propri funzionari per fare ispezioni perché la gente era impazzita, iniziava a disseppellire i morti per eseguire dei rituali macabri».
Non accadde a Trieste, però la letteratura ci riporta qui: «Per esempio lo scrittore Eric Stanislaus Stenbock. In un suo racconto narra del Conte Vardalek, una specie di Carmilla maschile, quindi il primo vampiro gay. Vardalek è un vampiro dandy, byroniano. È ospite di un altro nobile, in Stiria, di cui sedurrà e vampirizzerà uno dei figli. Stenbock ci racconta che ogni tanto il seducente conte spariva dall’Austria per risiedere a Trieste. Lo stesso Stoker ne “La dama del sudario”, narra di un viaggio da Trieste a Durazzo, e in queste acque l’autore descrive una donna avvistata dai marinai, che galleggia in una bara avvolta in un sudario». Pure i fantasmi nobili non mancano, dalla Dama Bianca del Castello di Duino al Castello di Miramare. Quest’ultimo non ha un fantasma tutto suo, ma la maledizione vuole che chiunque vi pernotti sia destinato a morire in terra straniera. A quanto pare da Massimiliano d’Asburgo all’ultimo abitante della fortezza – il generale americano Charles Moor – è sempre andata così.
L’unico castello che si salva è quello di San Giusto, pur sempre in un’aura di mistero: «“In leggende dal Friuli e dalle Alpi Giulie”, lo scrittore Von Mailly racconta come la fortezza sia associata a un tesoro. Pare che durante l’ultimo periodo della dominazione napoleonica, prima di essere scacciati i francesi abbiano seppellito in alcuni punti della città dei tesori. La leggenda vuole che uno di questi sia al Castello di San Giusto, mentre un altro dovrebbe essere nascosto a Villa Necker».
Insomma esiste una mappa di una Trieste arcana non così nota, secondo Deiuri il percorso più interessante è quello che da Piazza Cavana giunge a San Giusto, per scendere infine verso la Chiesa di Santa Maria Maggiore: «È una zona piuttosto oscura, quasi ogni dieci metri c’è una leggenda che parla di fantasmi, apparizioni o processioni di morti per arrivare poi ai sotterranei di Santa Maria Maggiore, dove dovrebbe esserci la celebre “Camera Rossa”, la sala di tortura attiva durante l’Inquisizione. Esistono inoltre una serie di gallerie che dovrebbero collegare questo sotterraneo a Rotonda Pancera. Non è mai stato confermato dagli scavi, resta dunque una leggenda popolare. La cosa interessante è cosa potesse collegare queste due opposte ideologie. Sappiamo che la fantasia popolare dà origine al fantastico, funge in qualche modo da parafrasi degli eventi reali e visto che spesso i gesuiti erano degli infiltrati nelle logge massoniche, allora questa narrazione potrebbe avere un senso».
Fuori dai confini cittadini il Carso ci restituisce l’altare nero di Fernetti, ma anche varie grotte deputate a rituali magici. Ora però pare tutto un po’ dormiente: «È singolare – conclude Deiuri – come a momenti ciclici ci sia una nuova attenzione verso questi temi, che poi danno luogo a saghe e mitologie. L’interesse del territorio per il satanismo, la cartomanzia e spiritismo si era rinnovato negli anni ’70. Poi c’è stato un revival negli anni ’90. Direi che il “demone” si risveglia ciclicamente, ma è curioso che risorga sempre in periodi di forte tensione politica o sociale. Così accadde negli anni ’70, anni di bombe e crimini. E a maggior ragione negli anni ’90 quando, qui vicino, la guerra balcanica compiva le sue carneficine. Ecco allora che ritorna anche un immaginario orrorifico, il tema del sangue e della morte». —
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