Tra storia e filosofia: i saggi orientano nel mondo che sarà aspettando il 2023
L’antropologo Marino Niola: «Abbiamo bisogno di un indirizzo, e di qualcosa di saldo cui aggrapparci»

A pochi giorni dalla fine del 2022 l’ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori snocciola i dati sulle vendite dei libri in questi dodici mesi. Una flessione rispetto al 2021 c’è stata, tra il -1,1% e il -1,8%, ma rispetto al pre-pandemia si sono comunque venduti più libri. Altro dato interessante quello dei canali di vendita, che vedono in recupero le librerie fisiche e in calo l’e-commerce. Tra i generi bene i romanzi ("Fabbricante di Lacrime" di Erin Doom, "Il caso Alaska Sanders", di Joel Dicker e "It ends with us. Siamo noi a dire basta" di Collen Hoover sono stati i tre libri più venduti in Italia nel 2022), le guide per la casa e i fumetti.
Nel 2022, passata la buriana pandemica in cui spopolavano i volumi dei virologi e degli scienziati, i lettori italiani hanno invece scelto di meno i testi di saggistica. Eppure sotto l’albero molti troveranno infiocchettato l’ultimo libro dell’immarcescibile Bruno Vespa, come sempre in bilico tra storia e cronaca politica, o quello di Alberto Angela su Nerone o ancora il saggio sul lutto e nostalgia dello psicanalista Massimo Recalcati, per citare i tre più venduti in queste settimane.
I libri di approfondimento sono sempre validi alleati per orientarsi in un presente che ci sfugge, dice Marino Niola, docente di Antropologia dei Simboli e Antropologia della contemporaneità all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, editorialista de La Repubblica e autore con Bompiani di libri come ‘Miti d’oggi’ e ‘Il presente in poche parole’.
«È un desiderio, quello di leggere saggi, ben indirizzato», commenta Niola: «Siamo portati a pensare che ormai si legga solo narrativa. Una narrativa di consumo che va di moda adesso, quella degli ultimi venti, trent’anni, dove non ci sono più scrittori ma solo scriventi. E invece, a sorpresa, viene fuori che gli italiani leggono anche saggi».
Da dove nasce questo desiderio?
«Dalla necessità di orientarsi nel mondo, non solo nel mondo attuale ma anche nel passato, perché si leggono molti saggi storici. Viviamo nella società dell’incertezza dove niente è sicuro e dove abbiamo bisogno di un tutorial per qualunque cosa, e in questo contesto di fluidità il saggio, soprattutto il saggio scritto su carta stampata, conserva qualcosa di solido a cui aggrapparsi nel mare del web, dove tutto vale tutto, almeno in apparenza. Invece il libro, il saggio, ci dà l’impressione di avere una fonte di cui ci si può fidare».
Si vendono sono soprattutto saggi divulgativi, che fanno storcere il naso a più di qualcuno.
«Il saggio divulgativo non può essere tecnico-professionale, altrimenti non lo leggerebbe nessuno. Per esempio i saggi degli storici sono sicuramente più documentati, più legati alle fonti di quelli divulgativi, però il saggio dello storico di mestiere interessa cento persone, quello di Vespa arriva a diecimila. I saggi degli accademici di solito sono noiosi».
È un vecchio problema della nostra accademia, la capacità di scrivere in modo accattivante.
«Quando un accademico scrive un saggio lo scrive per i colleghi, di cui teme il giudizio, così si rivolge a loro con molti sottintesi, molte allusioni. Invece il divulgatore non dà niente per scontato, spiega ogni cosa e viene giustamente premiato dal pubblico».
Con la pandemia abbiamo assistito a un profluvio di saggi scientifici. Abbiamo imparato qualcosa in più?
«Certamente, il Paese ha fatto uno scatto conoscitivo in avanti su certi temi di cui di solito non ci si occupava se non in emergenza. Da questo punto di vista vedo un fenomeno positivo».
I dati di vendita attestano che il libro di carta batte ancora quello digitale. È sorprendente?
«Fino a un certo punto, perché anche qualche anno fa molti pronosticavano una vittoria schiacciante del web, che c’è sicuramente sul terreno dell’informazione, perché il web ha fatto molto male ai giornali e ai quotidiani soprattutto, però proprio perché c’è questa fluidità di notizie che vanno e vengono, che si sovrappongono, le persone sentono il bisogno di qualcosa di saldo a cui aggrapparsi».
Si leggono soprattutto saggi di storia e di filosofia. Come possiamo interpretare il desiderio di queste discipline?
«L’interrogazione filosofica o antropologica nasce dal desiderio di conoscere e capire le cause che ci hanno portato a trovarci nello stato di cose attuali. Cerchiamo bussole per orientarci nel presente».
Lei per Il Mulino ha pubblicato, assieme a Elisabetta Moro, il saggio intitolato “Il presepe” (pagg. 244, euro 16). Il presepe è ancora attuale?
«Il presepe, intendo quello napoletano, rappresenta l’umanità, e per questo ha conquistato l’immaginario globale ed è amato da credenti e non credenti. Perché la versione partenopea della nascita di Gesù è un teatro della devozione dove si fondono e si confondono sacro e profano».
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