«Trieste? Per me è una nonna»

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
A 10 anni sognava di fare lo scrittore. A 20 si è visto rispedire al mittente la prima storia, scritta con il sacro furore dei debuttanti, da ben cinque editori. E adesso che di anni ne ha 31, Joël Dicker è uno dei narratori più corteggiati e apprezzati del mondo. Tanto che il suo nuovo romanzo “Il libro dei Baltimore”, tradotto in italiano da Vincenzo Vega per la casa editrice La nave di Teseo (pagg. 590, euro 22), non ha fatto troppa fatica a installarsi da subito nelle posizioni alte delle classifiche dei libri più venduti.
Svizzero di Ginevra, un’infanzia passata a leggere e inventare storie, ma anche a esplorare l’America durante l’estate, la nonna di origine triestina, Dicker ha fatto centro quattro anni fa con un fluviale, appassionante thriller intitolato “La verità sul caso Harry Quebert”. Romanzo che in Francia ha conquistato subito le giurie di due prestigiosi riconoscimenti: il Gran Prix du roman de l’Académie Française e il Goncourt des lycéens.
Normale immaginare che gli editori lo abbiano tormentato per avere un altro romanzone di successo da giocarsi sul mercato al più presto. In realtà, non è andata così: «Questo “Libro dei Baltimore” non mi è stato suggerito da nessuno», tiene a precisare lo scrittore. Non ci sono state pressioni, insomma, perché lui ha preferito giocare d’anticipo. «Il fatto è - racconta - che fin dall’inizio volevo scrivere una trilogia. Quindi la storia completa era già dentro la mia testa quando ancora mi stavo concentrando su “La verità sul caso Harry Quebert”».
Chi pensa di trovare nei “Baltimore” una sorta di replica di “Harry Quebert” sbaglia di grosso. Perché se è vero che i due romanzi hanno in comune lo stesso protagonista, Marcus Goldman, è altrettanto vero che il secondo capitolo della trilogia segue una strada del tutto diversa. E originale. Girando al largo dai toni del thriller.
Questa volta, infatti, Dicker costruisce una storia che ruota attorno al sogno americano. Contrapponendo a un mondo pieno di successi e case arredate alla perfezione, indimenticabili Thanksgiving e personaggi che sembrano usciti dalle riviste più trendy, un’altra realtà dove la vita bisogna guadagnarsela attimo per attimo. Senza fermarsi troppo a lungo a inveire contro la sorte. E se la famiglia dei Baltimore sembra uscita dal paradiso terrestre, e quella dei Goldman non può che brillare di luce riflessa, ci penserà la vita a presentare un conto salatissimo. Di punto in bianco, la bella fiaba assumerà i colori vividi e tenebrosi della tragedia.
È riuscito a scrivere un grande romanzo americano, anche se lei è nato a Ginevra...
«Non mi è difficile ambientare le mie storie negli Stati Uniti - spiega Joël Dicker -, perché ho vissuto per un sacco di tempo in quei posti. Quand’ero ragazzo passavo le estati nel Maine. E anche adesso che sono grande cerco di ritornare in America tutte le volte che posso. Mi piace stare lì e mi piace, di conseguenza, inventare storie che abbiamo ambientazioni americane».
Le serve molto tempo per finire romanzi che hanno sempre più di 500 pagine?
«Per scrivere i “Baltimore” mi sono serviti quasi due anni. Anche se è sempre difficile dire esattamente quanto tempo si impiega a costruire un libro. Perché dovremmo sommare tutte le ore che si impiegano per mettere assieme le parole e quelle che servono a ideare la storia, a inventare i personaggi».
Sua madre è una bibliotecaria? Deriva da lì l’amore per i libri?
«In realtà lei lavora in una libreria. Però è vero, sia lei che mio padre mi hanno introdotto nel meraviglioso mondo dei libri quand’ero molto piccolo. Praticamente la mia vita è partita dalle storie: loro me ne leggevano davvero tante. E poi ho continuato a farlo da solo».
È vero che ha una nonna di origine triestina?
«Certo che sì, mia nonna è nata a Trieste. Quand’ero più piccolo mi ha parlato spesso della sua città d’origine. Grazie a lei posso dire di avere un legame speciale con Trieste e, più in generale, con l’Italia. Ed è per questo che sono davvero felice del successo che ottengono i miei romanzi sul mercato italiano».
Scrivere: un mestiere difficile?
«Non è mai difficile assecondare le proprie passioni. Per me, scrivere è un’attività perfettamente naturale. Posso dire che la mia vita è stata segnata dall’amore per la scrittura. Per questo non mi costa fatica fare bene il mio lavoro. Anzi».
Se poi raggiungi anche il successo...
«Vuol dire che sei sulla strada giusta. Diciamo che il successo spinge uno scrittore a continuare a fare il proprio lavoro con amore».
La musica è un altro grande amore?
«Assolutamente sì. Amo la musica in tutte le sue forme e la ascolto per ore, ogni giorno. Prima di cominciare a scrivere un libro cerco di scegliere i brani giusti. E alla fine, nel ricordo, quella sarà la mia personalissima colonna sonora. Da associare a ogni singolo romanzo».
alemezlo
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