Tutti gli “Uomini” dei Ritmo Tribale

Se un introduzione fiammeggiante in apertura di una canzone è un gran biglietto da visita, di prefazioni a questo libro se ne contano addirittura tre, con una crema di “penne” musicali, Vittorio Bongiorno, Federico Guglielmi e Christian Zingales, lanciate in apprezzamenti che definire entusiastici è poco. E se questo lavoro “bellissimo e straziante” l'avrebbero voluto scrivere loro, come sottolinea Bongiorno, il merito invece va tutto alla triestina Elisa Russo, collaboratrice del Piccolo e giornalista radiofonica e web. Oggi il suo “Uomini. I Ritmo Tribale e la scena musicale milanese” (460 pagine, Odoya editore. s.i.p.) verrà presentato dal vj Marco Maccarini a Milano in Santeria, spazio artistico di culto nel cuore di Lambrate. Il titolo del libro non è solo una citazione di un brano di questa band-cardine del rock italiano ma attiene all'anima extra musicale del testo: una bella storia di vita oltre che di rock'n'roll, con i protagonisti raccontati attraverso 50 ore d'interviste, e con al centro l'ex front-man Stefano “Edda” Rampoldi e la sua vita travagliata ricca di colpi di scena.
Strana storia, questa di una triestina che scrive un libro dal cuore milanese.
«È una storia costellata di coincidenze, connessioni e flussi che sono andati avanti e indietro per anni. Edda direbbe che è il karma. È vero, tutti pensano che io sia di Milano e restano stupiti quando dico che sono triestina. Ora, conoscendo bene i personaggi che tratto, posso dire che solo io potevo farlo! Testardi, determinati, ognuno dava la sua versione, diversissima l'una dall'altra. A quel punto a Trieste ero nel posto giusto: non avevo vissuto quegli anni, non ero immersa nei racconti del “dopo”. Ero super partes».
In effetti è un amore nato qui un bel po' di anni fa.
«Più di vent'anni! Nel novembre del 1991 tutta la mia attenzione era dedicata all'arrivo dei Nirvana. Era un sabato; evento enorme per me, allora 15enne. Il giorno dopo avrebbero suonato i Ritmo Tribale. Avevo sentito un loro disco e mi avevano folgorato. Ma era domenica: pigrizia, stanchezza... però ho voluto comunque andarci, trovando una mobilitazione esagerata di forze dell'ordine e un sold out inatteso. All'ingresso mi hanno respinta, come pure lo stesso Edda. Un carabiniere non voleva farlo entrare: ha faticato un bel po' a spiegare che era lui quello a dover stare sul palco!».
Al di là dell'ovvio entusiasmo di una 15enne, cos'aveva di diverso questo gruppo?
«Fin dal primo ascolto mi colpirono i testi in italiano: esprimevano stati d'animo come non avevo mai sentito, con un uso così intenso e pieno della lingua, come se stessero parlando della tua realtà. Hanno spianato una strada percorsa poi da tanti altri. E poi quella voce urticante, che Edda definisce “difettosa”, che tocca corde particolari. E poi l'incredibile energia live del front-man, che avrei scoperto timidissimo nella realtà di tutti i giorni. Ma sul palco si liberava, senza barriere, senza inibizioni. “Gli altri avevano il talento, ma lui la magia”, dice Manuel Agnelli degli Afterhours. Magia sparita sino al suo ritorno sulle scene nel 2009».
Perchè Edda, alla maniera di John Frusciante, “è uscito dal gruppo” proprio nel momento di spiccare il grande salto.
«Nel 1996 Edda lascia ed è crisi. Da quel momento non si sa più assolutamente nulla di lui, buio fitto. Alcuni dicono che è partito per l'India, altri addirittura che è morto. Fino al 2002 saranno anni pesanti, dominati dall'autodistruzione e dalla dipendenza da eroina. Fino a quel ritorno, incredibile, nel 2009».
La questione delle droghe come l'ha affrontata?
«Non tutti i protagonisti hanno voluto mettersi a nudo su questo tema: dopo una prima lettura mi hanno chiesto di stemperare alcuni interventi, per meglio tutelare la privacy».
La scena di quegli anni? A leggere il suo libro sembra tutto tranne che la “Milano da bere” che ricordiamo.
«Villa Amantea era la sala prove di Baggio in cui militavano tutte le band milanesi anni '80. Lì c'era una scena molto compatta, la politica non era al centro della cose. C'era amicizia e collaborazione, c'erano scambi e contaminazioni: erano persone che si frequentavano senza competizione. Ci passò Piero Pelù come artisti che non avevano ancora iniziato, come Paolo Benvegnù. Il Jungle Sound, nei '90, è stata una delle più importanti sale prove e di registrazione italiane, dove passarono Iggy Pop, Metallica, Oasis. Ha catalizzato tutta la scena milanese che prima era in embrione: La Crus, Karma, Casino Royale, Afterhours ora erano professionisti. Nonostante ciò gli scambi continuavano: Giuliano Palma faceva i cori ai Ritmo, Edda cantava nel disco di debutto dei La Crus e così via».
Atmosfera un po' diversa dall'oggi.
«Questo spirito di condivisione non esiste assolutamente più. Racconta Fabrizio Rioda, ex Tribale e carismatico direttore degli studi, che negli ultimi tempi arrivavano giovani band a provare. Mentre aspettavano non si parlavano, nemmeno tra di loro. Stavano muti e, per tutto il tempo dell'attesa, avevano il volto sempre chino, intenti a scrivere sui cellulari».
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