“Tutto il mio folle amore” di Salvatores: «A Trieste ho trovato il mio set ideale»

venezia. “Trieste è l’unica città in cui potrei vivere, oltre a Milano. Ci sono molto affezionato”. Parola di Gabriele Salvatores, accolto fuori concorso alla Mostra del cinema per la prima mondiale del suo nuovo film “Tutto il mio folle amore”, il terzo consecutivo ambientato e girato a Trieste, il quarto della sua filmografia considerando anche “Come Dio comanda”. Una scelta, quella di tornare alle già sperimentate location giuliane, che non passa inosservata e che tradisce un legame speciale con la città. Lo ammette senza giri di parole, Salvatores, che interrogato, spiega come si sia trattato di un colpo di fulmine: «Io sono nato a Napoli – racconta – e la prima volta che sono capitato a Trieste ho pensato che le due città si somigliassero, anche se forse non è una cosa che salta subito agli occhi. Al di là del Golfo, ho via via scoperto che ci sono davvero molte cose in comune, più di quanto si possa immaginare. Trieste, ma anche l’Est, i Balcani, che erano necessari per questo film dove avevamo bisogno di un confine. Un confine reale, oltre che metaforico, che i due protagonisti, un padre e un figlio, superano insieme. I Balcani hanno in comune con la città in cui sono nato una malinconia, una visione fatalista della vita. E io ero in cerca di entrambe».

“Tutto il mio folle amore” ispirato al romanzo di Fulvio Ervas “Se ti abbraccio non aver paura” e alla vera storia di Franco e Andrea Antonello, girato fra Trieste, la Slovenia e la Croazia e in uscita in sala il 24 ottobre, racconta la storia di un padre che, dopo anni di assenza, trova il coraggio di incontrare il figlio mai conosciuto, scoprendo che è affetto da autismo. Sarà l’inizio di un viaggio inaspettato e pieno di incidenti, dal quale entrambi torneranno cambiati per sempre. Un film fuori da tempo, che sembra uscito da un cassetto rimasto a lungo chiuso. Se non fossero passati quasi trent’anni, lo si direbbe inserito nella filmografia di Salvatores subito dopo “Turné”, “Marrakech Express”, “Puerto Escondido”, tra i suoi road-movie esistenziali, ancora un viaggio dal quale è impossibile non tornare trasformati. «Sono tornato al road-movie – riprende Salvatores – perché ho bisogno di stare dove la vita scorre. E forse anche per provare a sentirmi un po’più giovane. Il viaggio resta un elemento importante nei miei lavori, perché non è importante la meta ma la meta è il viaggio, nel viaggio si è più indifesi, più aperti, vulnerabili e per questo è così importante». Il complesso ruolo di Vincent è affidato all’esordiente Giulio Pranno, impressionante per somiglianza a River Phoenix giovane, mentre Claudio Santamaria interpreta il padre, un uomo fragile e immaturo soprannominato il “Modugno della Dalmazia”. Con loro Diego Abatantuono e Valeria Golino, che ha ricordato gli inizi della sua carriera americana, quando nel 1988 – diretta da Barry Levinson – recitava al fianco di Dustin Hoffman e Tom Cruise in “Rain Man – L’uomo della pioggia”, che con il film di Salvatores presenta più di un elemento in comune: «Qui sono un padre e un figlio – afferma – in “Rain Man” erano due fratelli. In entrambi i casi abbiamo due persone che si incontrano, scontrano, si conoscono, si rieducano e alla fine si migliorano a vicenda». —

BEA.FIO:

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