Umberto Orsini: «La scena è mia ma non sono sereno per il teatro»

UDINE. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, sosteneva Italo Calvino. Dal palcoscenici dei teatri, ci dice la stessa cosa Umberto Orsini: «Da alcuni anni ho preso l'abitudine di leggere libri che avevo già letto. E mi ritrovo davanti a pagine che avevo proprio dimenticato. Scopro addirittura episodi che mi risultano totalmente nuovi».
Così l'attore spiega perché ha deciso di ritornare a “Il giuoco delle parti”, un lavoro di Pirandello che lo aveva visto protagonista una quindicina d'anni fa, in un allestimento assieme a Gabriele Lavia. Lo stesso titolo, lo stesso ruolo, ma con una maturità, un'anzianità, un'esperienza diverse, lo vedrà in scena domani alle 20.45 al Teatro Giovanni da Udine per tre repliche in cui gli sono accanto Alvia Reale e Totò Onnis, per la regia di Roberto Valerio.
”I miei primi sessant'anni” si intitola una mostra fotografica, che si può sfogliare anche sul web e che accompagna la lunga carriera di Orsini: in un così importante arco di tempo un grande attore i classici impara a fiutarli subito. Anche se non appartengono al passato più remoto. E accanto al Pirandello degli intramontabili “Sei personaggi”, dei sempre misteriosi “Giganti della montagna”, anche il centenario “Giuoco delle parti” ha ancora qualcosa da dire a un pubblico che segue la vicenda di Leone Gala, il gastronomo-filosofo che dal giorno del debutto, nel 1918, è sempre alle prese con il guscio di un suo uovo alla coque: un'immagine del mondo così come lo vede lui. La sua vicenda, di sua moglie Silia, dell'amante Guido, resta ancora un tema in cui proiettare qualcosa di noi. O perlomeno di una certa idea di follia coniugale, spiega Orsini.
Non certo l'immagine di quel duello d'onore che conclude la vicenda originale.
«Oggi la parola sfida ha significati talmente diversi, che riesce difficile interpretarla in quel senso. Abbiamo messo un po' al margine questo aspetto. Ma la nostra non è una riscrittura del lavoro di Pirandello. Si è trattato invece di approfondire, di rovesciare ciò che appare evidente, di mettere insieme nel lavoro sul palcoscenico tutti i temi che attraversano l'opera della scrittore, dalla follia di “Enrico IV” a quell'estraniarsi dal personaggio, l'esserne dentro ma anche vederlo da fuori, a cui come attore sono molto sensibile».
Una sensibilità coltivata anche assieme a Luca Ronconi, scomparso da poco, che non aveva un'attrazione così forte per il mondo di Pirandello.
«Anni fa pensavamo di realizzare assieme “Quando si è qualcuno”. Se, da attore, mi catturava la vicenda, all'occhio registico di Ronconi risultavano affascinanti e visionarie le didascalie. Sorprendente com'era, gli sarebbe piaciuto mettere in scena soltanto le didascalie di Pirandello».
È questa capacità di sorprendere che ci mancherà, soprattutto.
«Sorprendere non è difficile, molti provano a farlo, ma si tratta perlopiù di trovate. Ronconi ti sorprendeva invece per il suo andare al centro della materia, per lo scarto dell'intelligenza con la quale ti indicava strade che c'erano, proprio là accanto, ma tu, da solo, non saresti riuscito a vedere».
Difficile vedere chiaro nelle trasformazioni che sta subendo il teatro in Italia, a cominciare dall'impianto legislativo, su cui si discute molto in questi giorni.
«La situazione è complessa e non sono sereno. Faccio l'attore, ma sono anche un imprenditore, e ho la responsabilità di una compagnia teatrale. E tuttavia non sono spaventato: ho i numeri, una pazienza e l'autonomia che mi permettono di andare ogni sera davanti al pubblico sapendo che quella scena è mia, che posso continuare a lavorare con le persone di cui stimo l'intelligenza e scelgo il talento».
Sembra già pronto il progetto che farà seguito al “Giuoco delle parti”?
«Si tratta di un testo di Arthur Miller, poco rappresentato in Italia: “Il prezzo”. Lo aveva interpretato Raf Vallone, quasi trent'anni fa. Adesso, con la regia di Gianni Amelio e accanto a me Alvia Reale, Massimo Popolizio, Elia Schilton, diventerà una riflessione, sempre molto teatrale, sul tema economico, sul dopo- crisi. Ma nello stile di Miller, nel suo mettere al centro un'idea di famiglia, nel ricordare che proprio quest'anno sono passati dieci anni dalla sua scomparsa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo