Un omicidio passionale nella Serenissima finisce con i rei confessi decapitati a San Marco

La cronaca
Una delle tante storie veneziane avvolte nella leggenda, che trae però origine da una caso di cronaca realmente accaduto, racconta una delle più efferate vicende di passione e sangue della Venezia del ‘700. Protagonista, una giovane donna friulana, che insieme al suo amante, uno staffiere in forze alla nobile famiglia Dolfin delle Zattere, ordì un piano ingegnoso quanto efferato per uccidere il marito ormai diventato un ostacolo alla sua passione. A ricostruire il delitto, corredandolo di tutti i particolari macabri riportati dalle cronache dell’epoca, lo storico Giuseppe Tassini nel suo bellissimo libro “Curiosità Veneziane”, che racconta la complessa e affascinante toponomastica veneziana Sestiere per Sestiere.
Scrive il Tassini che la mattina del 14 giugno del 1779 nel Sestiere di Dorsoduro, esattamente nel pozzo situato davanti alla porta laterale della Chiesa di San Gervasio e Protasio (San Trovaso) fu ritrovato il busto di un uomo senza testa. Poche ore dopo, in un altro luogo della città, all’interno di un altro pozzo in Fondamenta del Malcanton furono rivenute “due cosce con gambe e piedi”. La mattina successiva in un altro punto di Venezia, esattamente nel Canale di Santa Chiara (nei pressi dell’attuale Piazzale Roma), fu ripescata una testa umana e verso mezzogiorno nel quartiere degli “Zaffi da Barca” alle Zattere furono rivenuti anche alcuni organi interni.
Il Senato veneziano, toccato da un caso così cruento e sconcertante, decise di intervenire subito per scoprire l’identità dell’uomo fatto a pezzi e gli autori dell’efferato delitto.
Scrive il Tassini: “Commosso il Governo a così fiero caso, ordinò che si esponesse la Bandiera Veneziana per otto giorni nella basilica di San Marco, ed il SS. Sacramento in tutte le chiese di Venezia, così per espiazione, come per ritrovare i colpevoli. Faceva pure esporre al pubblico imbalsamata la testa dell'interfetto (dell’ucciso, in linguaggio forense)”.
In assenza degli attuali sistemi di rapida identificazione la Serenissima pensò bene che il metodo più efficace per fare esaminare a più gente possibile l’immagine dell’uomo trovato a pezzi fosse issare su una picca la sua testa perché qualcuno passando la potesse riconoscere. Essendo poi stato ritrovato negli indumenti del cadavere un “rouleau di carta, formato col brano d'una vecchia lettera, la quale avea per sottoscrizione le iniziali V. F. G. C.” la Serenissima ordinò che venisse inserito nelle pubbliche gazzette tutto il contenuto.
Proprio grazie a questa pubblicazione, il brano della lettera cadde sotto gli occhi di un certo Giovanni Cestonaro, un veneziano domiciliato a Este, che – racconta il Tassini – “corse a Venezia, e rabbrividendo, riconobbe il proprio carattere, e la testa del proprio fratello, Francesco, a cui aveva spedito quella missiva”.
Interrogato dalla giustizia veneziana l’uomo fece ricadere i sospetti per l'assassinio del fratello sulla cognata, una giovane donna di nome Veneranda Porta, originaria di Sacile. Raccontò infatti che tra lei e il fratello non correvano buoni rapporti a causa di una tresca che la cognata aveva intrapreso da qualche tempo con un certo Stefano Fantini, uno staffiere originario di Udine che prestava servizio presso una casa nobile alle Zattere. L’uomo raccontò inoltre che spesso il fratello si era lamentato per lettera di questa relazione tra Veneranda e lo staffiere.
Spinta da questo pesante indizio, la giustizia veneziana – come riporta il Tassini – interrogò i due amanti, che (probabilmente sotto tortura) subito confessarono il delitto, ammettendo di averlo “commesso per astio verso il Cestonaro e per contrarre dopo la di lui morte novelli sponsali”.
La pena nei confronti dei due rei confessi fu esemplare: la sentenza pronunciata dalla Quarantia al Criminal fu di decapitazione per entrambi. L’esecuzione capitale fu eseguita in Piazza San Marco il 12 gennaio 1781. Davanti al popolo veneziano radunato tra le statue di Marco e Todaro agli amanti “diabolici” fu tagliata la testa, ma il corpo del Fantini, accusato di essere stato l’esecutore materiale del delitto, fu anche “squartato” con lo stesso scempio del corpo che lui aveva inflitto alla sua vittima. —
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