Clima e agricoltura, la risposta è nel DNA: a Staranzano il futuro delle piante resistenti
Il genetista Luigi Cattivelli, direttore del Centro di Genomica del Crea di Fiorenzuola d’Arda, ospite al Festival dell’Acqua per parlare di come le nuove varietà vegetali affronteranno siccità, malattie e riduzione della chimica

La sfida cui ci troviamo di fronte è epocale: come deve cambiare l’agricoltura per affrontare il cambiamento climatico? L’aumento della temperatura, il meteo sempre più estremo provocano il proliferare di funghi, virus, parassiti, e il rischio è di moltiplicare i trattamenti chimici sulle coltivazioni per sfuggire a tali attacchi. Unica soluzione, quindi, è quella di “aiutare” il Dna delle piante a resistere alle aggressioni di clima e patogeni. È questo su cui oggi si concentra la ricerca: tra i vari laboratori d’eccellenza nel mondo, a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) c’è il Centro di Genomica e Bioinformatica del Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, il cui direttore Luigi Cattivelli sarà ospite sabato al Festival dell’Acqua di Staranzano. L’appuntamento è alle 19.30 in Sala Delbianco per il talk “Quali piante/varietà coltiveremo domani?”
Come sta mutando l’agricoltura? Avremo piante più adatte alle nuove condizioni climatiche?
L’agricoltura si è sempre adattata, sia alle condizioni del clima, sia alle esigenze della società. A uno può sembrare che il problema ce lo poniamo adesso, ma in realtà si pone da 10 mila anni. Le piante che coltiviamo cambiano con la stessa logica con cui cambiano le automobili: ogni anno esce un modello nuovo, una nuova versione, simile a quella precedente ma con qualcosa dentro che la rende un po’ diversa. L’auto con l’abs sarà meglio di quella senza, l’elettrica preferibile a quella a gasolio: è il progresso tecnologico. Nelle piante che si coltivano, tutte, ad eccezione della vite, le varietà sono in continuo rinnovo: ogni anno escono nuove varietà per ogni specie, meglio di quelle precedenti per qualcosa. Magari una persona non esperta può non coglierlo ma ci può essere una maggior resistenza a una malattia, una maggior capacità produttiva, una diversa caratteristica qualitativa: e questo è il progresso genetico, equivalente a quello tecnologico nell’industria. Per dire che l’idea dell’agricoltura “come natura crea” non esiste da 10 mila anni.
Quindi l’uomo ha sempre adattato la pianta all’ambiente?
In origine, l’uomo comincia a fare agricoltura (nella cosiddetta mezzaluna fertile) quando prende una pianta selvatica e la rende domestica. Le piante addomesticate hanno la caratteristica unica che i semi delle spighe rimangono attaccati alla pianta: questo non avviene in natura, dove ogni seme si stacca e viene sparso intorno. Quando l’uomo 10 mila anni fa comincia a fare agricoltura seleziona delle mutazioni che rendono la pianta incapace di disperdere i semi. Le piante si sono sempre adattate ai climi: il frumento, ad esempio, nasce dalla mezzaluna fertile, ma oggi si coltiva in Germania, Canada, Kenya, Australia, ovunque. Questo perché nel corso dei secoli spostando il frumento dalla sua culla di origine l’uomo ha selezionato piante adatte al clima dei vari paesi. Se si prende un frumento tedesco e lo si pianta in Kenya, non fa nemmeno la spiga perché è un tipo selezionato per vivere nelle condizioni climatiche del centro Europa. Alla fine la composizione del chicco è la stessa solo che la pianta è adatta a vivere in certi ambienti piuttosto che in altri.
Oggi però che succede?
Succede che anziché aver bisogno di un adattamento geografico dobbiamo farci carico di un adattamento secondo un trend temporale perché nello stesso posto il clima cambia. A che serve quindi la genetica? A selezionare le piante per il clima d’oggi in un luogo specifico e che siano più rispondenti ai desiderata della società: tra le esigenze più sentite dai cittadini vi è la riduzione della chimica in agricoltura e la soluzione genetica è la cosa più efficace per avere delle piante che non si ammalino e che non necessitino di trattamenti chimici.
Un esempio?
Il pomodoro è il perfetto esempio di come la genetica ha adattato la pianta alle esigenze qualitative o della società d’oggi: ne esistono fatti apposta per essere raccolti a macchina anziché a mano per le conserve. O quelli per il consumo fresco, dal colore alla forma che colpiscono l’occhio del consumatore ma soprattutto con una caratteristica fondamentale: la maturazione rallentata o, per dirla in termini di mercato, una shelf-life assai lunga. Tutto questo si fa da sempre usando la selezione genetica.
Ma le Tecniche di Evoluzione Assistita, le cosiddette Tea, cui lavorate cos’hanno di più?
Portano un nuovo strumento molto efficace che consente di correggere i geni difettosi. Se “entri” in un paziente che ha una malattia genetica e gli correggi il gene questo guarisce. Oggi la cura delle malattie genetiche si sta cominciando a fare usando l’editing genomico, una delle tecniche che nel mondo vegetale vanno sotto il nome di Tea. Il principio è lo stesso: se una pianta porta un gene che non è corretto si può correggere ma senza prendere un gene da una specie e spostandolo in un’altra come nel caso degli Ogm. Ad esempio correggere i geni che causano la suscettibilità delle piante alle malattie consente di rendere una pianta resistente alla malattia. Le Tea al momento non sono ancora autorizzate a livello europeo ma la normativa che ne regolerà l’uso in agricoltura sembra ormai in dirittura d’arrivo e probabilmente non passerà tanto prima che siano vendibili: è questione di pochi anni.
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