Una paternità tardiva le amicizie labili di Facebook tutte le nostre nascoste fragilità

Scavare nel profondo degli stati d’animo, mettere a nudo fragilità e inquietudini. Raccontare le paure e le speranze di uomini e donne dietro i paraventi delle vite quotidiane. E rivelare, così, il capovolgimento dall’apparente normalità al dramma. Succede a Gabriele Santoro, professore di pianoforte al conservatorio di Napoli, “il maestro”, per i suoi vicini del quartiere popolare di Forcella. È il protagonista de “Il bambino scomparso” di Roberto Andò (La nave di Teseo, pagg. 224, euro 17). E ha una vita ben scandita tra lezioni, studio e appassionato ascolto di preziosità musicali. Finché un mattino un bambino s’intrufola nel suo appartamento, per nascondersi, in fuga dal padre camorrista e da un grosso guaio. Tutto cambia. E per Santoro comincia una nuova stagione di vita, segreta e segnata da un’ombra di violenza, ma anche dalla scoperta del peso e della bellezza del prendersi cura di qualcuno. Pericoli e sotterfugi, minacce e durezze. La quotidianità dell’ascolto musicale consola, ma non risolve i problemi. Finché tutto precipita... C’è molto amore per la cultura, nelle pagine. Ma è evidente soprattutto il contrasto dei sentimenti tra il rimpianto per la piacevole solitudine e la forza affettiva dirompente di qualcosa che somiglia a una pur tardiva paternità.
“Solitudine”, si intitola il nuovo libro di Mattia Ferraresi (Einaudi, pagg. 232, euro 17): “La solitudine è una faccenda trasversale e tristemente democratica”. Il racconto si snoda tra storie e ambienti, schermi di computer e amori da tastiera, lavori precari e rapporti umani distanti e fragili. Il saggio è stato pensato e scritto prima della pandemia da coronavirus. E come tutti i buoni libri, sa cogliere in anticipo i segni del tempo.
La nostra società, diventata liquida, consente scoperte, carriere e successi, ma effimeri. E sui social media l’intrecciarsi delle amicizie rivela spesso una insopportabile labilità. Si rintracciano, è vero, i vecchi compagni di scuola. Raramente, ci si incontra e si parla davvero. C’è un grande rumore di fondo. Quando s’attenua, a essere rumorosa è appunto la silenziosa solitudine.
Di storie scomposte, sconclusionate, malinconiche sono intessute anche le vite delle sei persone che compongono la giuria popolare d’un clamoroso processo per un duplice omicidio, protagoniste de “I giorni del giudizio” di Carlo Simi (Sellerio, pagg. 552, euro 15). Lo sfondo del racconto sta tra Lucca e Viareggio. Le vittime sono una signora bella e ricchissima e un ragazzo che si dice sia stato il suo amante. L’accusato è il marito di lei, famiglia potente e carica d’ombre. Come sono andate davvero le cose? Non è questo l’aspetto più importante. A leggere le oltre 500 pagine scritte benissimo, si scopre che contano davvero i diversi punti di vista, gli intrecci tra giustizia formale e faccende private, gli sguardi smarriti davanti alle pressioni dell’opinione pubblica, i pregiudizi e le ferite di chi osserva, deve giudicare e a un certo punto rischia di smarrire perfino il senso della verità. Inquietudine e solitudine, ancora una volta.
E di cosa sono intessute le vicende delle donne raccontate da Maria Attanasio in “Lo splendore del niente e altre storie”, (Sellerio, pagg. 219, euro 14)? I racconti partono dalle cronache del Settecento in un’immaginaria Calacte, che somiglia a Caltagirone e si snodano tra conventi e palazzi, tuguri nei vicoli della città e spazi aperti nelle campagne gelide o riarse (mai, un clima mediano, rassicurante), macerie del terremoto del 1698 e roghi dell’Inquisizione.
Protagonismo femminile, dalla donna che cerca di salvare il marito infermo dalle rovine di casa alla vedova che si comporta da uomo, nel faticoso lavoro dei contadini, pur di sottrarsi a un destino di marginalità in paese e, sfuggita a una condanna, segue libera il futuro che s’è costruita, dalla ragazza che rifiuta i privilegi nobiliari per inseguire un’ossessionata santità alla fabbricante di veleni che vendica violenze e umiliazioni. Dietro l’apparente fragilità, c’è in tutte queste donne il rifiuto della sottomissione. A dispetto delle apparenze. —
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