Una Repubblica Nomade cammina con Moresco da Trieste fino a Sarajevo

Parte domani una camminata lunga 700 chilometri per ricordare all’Europa la follia delle guerre

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Se l’Europa si sfascia, loro le regalano un sogno. Un viaggio lento, fatto di sudore e polvere, di strade appartate e orizzonti sconfinati. Un cammino per rivivere con il ricordo tre momenti di inutile follia vissuti dal Vecchio Continente nel corso del ’900: la Prima e la Seconda guerra mondiale, e quei conflitti a catena che hanno insanguinato e straziato l’ex Jugoslavia sul finire del secolo.

“Un sogno per l’Europa”, così si intitola il viaggio, partirà domani mattina da un luogo simbolo: la Risiera di San Sabba a Trieste. L’unico campo di sterminio nazista in Italia. E tra un mese, dopo 700 chilometri di cammino, raggiungerà la Sarajevo protagonista del più lungo assedio nella moderna storia bellica: dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. A camminare sulle tracce della Storia sarà Repubblica Nomade. Un gruppo eterogeneo di cui fa parte anche lo scrittore Antonio Moresco. Una delle più originali voci della letteratura italiana contemporanea, che ha legato il suo nome alla trilogia de “Gli esordi”, “I canti del caos” e “Gli increati”. E che quest’anno potrebbe entrare da outsider nella cinquina di finalisti al Premio Strega con il romanzo “L’addio” pubblicato da Giunti.

Antonio Moresco e Maurizio Michelangelo Netto, l’attuale presidente di Repubblica Nomade, parleranno del “Sogno per l’Europa” oggi alle 18 al Caffè San Marco, in via Battisti a Trieste. Spiegando, tra l’altro, che questo viaggio a piedi dovrà confrontarsi subito con un problema non da poco: le numerose mine antiuomo che ancora si trovano disseminate nei terreni della Croazia, della Bosnia. E che costringeranno il lungo serpentone di camminatori, composto da una cinquantina di persone, a evitare i sentieri, le strade che attraversano la campagna.

«In alcuni passaggi del nostro viaggio dovremo camminare al bordo delle strade asfaltate - spiega Antonio Moresco -. Per fortuna, insieme a noi, ci saranno i nostri esperti di carte geografiche e mappe. Un viaggio come questo non si prepara in due giorni. Ci sono persone, nella Repubblica Nomade, che dedicano mesi e mesi a mettere a punto tutti i problemi logistici».

Come dormire, mangiare...

«Per dormire ci basta un posto qualunque. Ci accontentiamo di una palestra dove piazzare i nostri sacchi a pelo, con lo zaino per cuscino. A volte abbiamo trovato ospitalità in qualche convento di monache di clausare. In Svizzera, mentre camminavamo per raggiungere Strasburgo, ci hanno offerto di pernottare in un rifugio antiatomico».

Un rifugio antiatomico?

«Li avevano costruiti negli anni in cui sembrava imminente una guerra nucleare. Sono ancora perfettamente funzionanti. Certo, un po’ claustrofobici, ma c’è tutto: letti a castello, enormi cucine».

Com’è nato questo “Sogno per l’Europa”?

«Da un’idea, anzi da una sensazione. Se fallisce il progetto europeo, verranno a galla le disparità economiche e sociali tra i diversi Paesi membri. E, allora, temo che cominceremo a scivolare verso un piano inclinato. Quello che porterebbe a nuove guerre».

Pessimisti?

«No, realisti. L’Europa cova dentro di sé un gene suicida. Ha già provato ad autoeliminarsi due volte: nel 1914 e nel 1939. Certo, riesce a tenere sotto controllo questa tendenza autodistruttiva. Ma non dimentichiamo che le guerre nei Balcani non sono state opera di barbari. Io le vedo, piuttosto, come una prefigurazione di cosa potrebbe toccare a tutti noi. Se ci lasciassimo suggestionare da certi apprendisti stregoni che soffiano sul fuoco. Lo ha detto anche David Cameron».

Il primo ministro del Regno Unito?

«In una recente intervista ha parlato come non avrei mai immaginato. Convinto che un’Europa più debole può diventare schiava di situazioni molto complesse».

Perché questo viaggio da Trieste e Sarajevo?

«Siamo italiani. Abbiamo portato ideali forti nella costituzione dell’Europa. Le idee di libertà, di giustizia di persone come Altiero Spinelli. Degli antifascisti al confino, in esilio, in carcere. E allora è giusto far sentire la nostra voce. Perché il futuro dell’Europa ha un senso solo se stiamo insieme».

Quando è nata Repubblica Nomade?

«Sei anni fa. Ci siamo messi in cammino da Milano fino a Napoli, a Scampia. Volevamo ricucire l’Italia con i nostri passi. Dimostrare che non ci sono divisioni tra Nord e Sud. Lungo il percorso ci hanno accompagnato complessivamente 700 persone. Qualcuno arrivava fino in fondo, qualcun’altro ci salutava prima».

Non vi siete fermati lì...

«L’anno dopo siamo ripartiti per disegnare la Stella d’Italia. Scegliendo cinque punti diversi, cioè Reggio Calabria, Santa Maria di Leuca, Venezia, Genova e Roma, abbiamo percorso quattromila chilometri per ritrovarci poi tutti a L’Aquila lo stesso giorno. Volevamo chiedere non solo che la città venisse ricostruita dopo il terremoto, ma far sentire la nostra voce anche sullo sfacelo a cui va incontro l’Italia intera».

Il viaggio più lungo?

«I 1200 chilometri da Mantova a Strasburgo. Percorrendo soprattutto sentieri di montagna. Eravamo in pochissimi, non più di 12 alla partenza, perà alla fine ci ha ricevuti il presidente Martin Schulz. L’anno dopo siamo andati in Sicilia, da Palermo fino a Gela. Camminando tra la desolazione delle raffinerie dismesse e lo splendode delle colonne doriche. Ecco, lì abbiamo trovato la nostra identità di Repubblica Nomade».

Ma chi è il motore della Repubblica?

«La proposta iniziale è stata mia. Un paio d’anni prima avevamo organizzato un incontro, intitolato Tribù d’Italia, per mettere assieme gruppi diversi che condividono tante idee. Interessante, senza dubbio, potevamo ripeterlo l’anno dopo. Ma non era sufficiente. Tutto rimaneva nel territorio delle parole, dello scambio di esperienze. Troppo astratto».

E allora?

«Ci voleva un gesto che unisse teoria e pratica. Il sogno all’ideale. Insomma, dovevamo metterci in viaggio. Dimostrare che si può scendere in strada per convincere le persone a pensare, a ragionare. Camminando».

Sperava in un successo?

«No, a dire il vero pensavo che la mia idea cadesse nel vuoto. Invece molte persone si sono entusiasmate. Giovanni Giovannetti, Carla Benedetti, Tiziano Scarpa, Serena Gaudino, sono entrati subito in questa Repubblica Nomade. Adesso abbiamo anche alcuni preziosissimi giovani, che lavorano molto sui contatti in rete».

Un progetto che si rinnova?

«La cosa più bella è che per noi è come il primo amore. Ma, per fortuna, attira sempre altre persone. Un piccolo miracolo che si rinnova».

Come farà a scrivere se sta in viaggio per un mese?

«Per scrivere devi essere da solo. Se cammini stai in mezzo agli altri, sempre. Però mi sono accorto che questo digiuno non solo non mi pesa, ma in qualche modo mi aiuta poi ad avere maggior forza nell’immaginare le mie storie».

Perché

«Quando cammini non sai cosa ti aspetta. Dove mangerai, dove dormirai. Lo scrittore, davanti alla pagina bianca, deve fronteggiare la stessa incertezza».

Potrebbe vincere lo Strega...

«Sono allo Strega per l’amicizia con Antonio Franchini. Quando lui ha lasciato Mondadori per Giunti, mi ha chiesto un romanzo da pubblicare. Uno di quelli che considero la mia seconda via alla narrativa. Parallela alla mia opera principale, alla trilogia degli “Increati”. Potevo dirgli di no? Per me la gratitudine e l’amicizia contano più di ogni calcolo di convenienza».

Moresco allo Strega: non lo trova strano?

«Certo, è una strana avventura. Però non la vivo con l’ansia della vittoria. La prendo come viene. E magari qualche nuovo lettore scoprirà i miei romanzi. Questo avventuroso “Addio”, la trilogia».

alemezlo

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