Vacanze a Lussino ai tempi di Tito

Lussino, anni '50 e '60, in pieno regime comunista. Il cibo scarseggiava, la sera non c'era l'elettricità e bisognava possibilmente tacere in pubblico per non rischiare di offendere il potere. Eppure, proprio lì una bambina triestina di origine lussignana ha trascorso per molte estati le vacanze più lussuose della sua vita, mangiando astici e aragoste, nuotando nel mare trasparente e imparando lo sci d'acqua. Su questo (apparente) ossimoro, che sintetizza bene come la ricchezza stia nelle cose semplici, è giocato il libro-amarcord "Vacanze miliardarie in un'isola comunista" di Maura Lonzari (ed. Lint), che sarà presentato domani in un incontro con l'autrice, insieme alla professoressa Rita Cramer Giovannini, alle ore 18 alla Libreria Lovat.
Lonzari, di madre lussignana e padre di Pola, professoressa in pensione che ha insegnato all'Istituto Magistrale Carducci e al Liceo Oberdan, regala nel romanzo uno spaccato di vita quotidiana nell'ex Jugoslavia da testimone oculare («tutto quello che racconto è vero», specifica), attraverso il suo punto di vista di bimba di tre anni, quando sbarcò a Lussino per la prima volta. «Non siamo né profughi né esuli, i miei genitori sono arrivati a Trieste già nel 1930», spiega l'autrice. «Mia madre però - continua - ci teneva moltissimo a far conoscere me e mio fratello ai miei bisnonni che erano rimasti a Lussinpiccolo e non venivano in Italia dal 1945. Così, nel 1952, ho conosciuto Lussino e ci sono andata per tutte le estati della mia vita».
Com'erano le vacanze a Lussino negli anni '50?
«Per partire mia madre faceva il visto molti mesi prima, cominciava a chiederlo a gennaio. A me pareva l'Isola del Tesoro, una favola: tanto mare, odori, alberi. Non c'era nulla fare se non imparare a nuotare, o andare in barca. Erano "le mie vacanze miliardarie" perché era mondo pieno di affetti famigliari, amici veri, un'esistenza sana e sportiva, illuminata dal sole. I miei genitori, però, avevano la preoccupazione giornaliera di trovare del cibo».
Erano vacanze con rifornimento alimentare al mattino...
«Pane, farina, zucchero e olio non c'erano tutti i giorni. Di mattina la mia bisnonna partiva per prima da casa, a 200 metri dalla piazza, e vedeva quello che trovava nei negozi».
Spesso, però, si finiva a mangiare astici e grancevole...
«Il pesce costava molto meno della carne. I lussignani sono prudenti di natura e molto attenti nello spendere, quindi era sottinteso che avremmo mangiato pesce. Spesso però erano branzini, spigole, orate, a volte anche astici e grancevole: le regalavano i pescatori che le odiavano perché s'impigliavano nelle reti, le rompevano e non c'era niente per ricucirle. E poi nessun lussignano avrebbe comprato a peso d'oro le grancevole perché la parte edibile è pochissima».
Com'era la vita nella Lussino comunista vista da una bambina?
«Per noi bambini c'era soltanto un neo: la consegna del silenzio per non offendere i potenti. La politica c'entra nel mio libro perché vivevamo all'ombra della grande Storia. Il governo di solito dava l'elettricità a mezzogiorno e la toglieva alle sette e mezza di sera: quando ci si metteva a cena, la luce non c'era mai. Non avevamo mai l'acqua corrente, ci lavavamo col catino dalla cisterna. I giornali dell'Ovest non arrivavano e il telefono non ce l'aveva nessuno: bisognava andare alla posta e aspettare per ore».
Da Trieste partivate carichi delle merci più disparate richieste dai parenti. Vi è arrivata anche una pagina di giornale con disegnata la forma di un piede per avere un paio di scarpe più o meno a misura...
«A Lussino non si trovava nulla, nemmeno chiodi, viti, martelli. Portavamo detersivi a pacchi, pentole, la pittura per i muri. I lussignani scrivevano le loro richieste a tutti i parenti che vivevano all'estero. Il baratto più importante era caffè e riso, molto richiesti. In casa della mia bisnonna ho trovato un numero considerevole di occhiali: glieli avevano mandati le sue sorelle dall'America con varie gradazioni di lenti, non sapendo quante diottrie le mancassero».
Come vivevano i lussignani di allora?
«Erano rimasti quasi solo gli anziani, le donne si ritrovavano molto in Chiesa o in preghiera: era inconsciamente una voce di protesta. La fede era tollerata: anche il capo comunista aveva la mamma che andava in Chiesa. In un paesino l'applicazione della regola, anche comunista, diventa molto difficile. Nessuno sarebbe stato capace di togliere la devozione ai lussignani».
Com'è cambiata poi Lussino negli Anni '60?
«La reperibilità del cibo era molto più semplice. Negli anni '50 vigeva il terrore, nei '60 invece nessuno ci avrebbe ordinato di andare subito in polizia ad annunciare la nostra presenza. Né la polizia sarebbe mai venuta in casa a controllare chi c'era. Anche il rifornimento della benzina era più semplice e non costava molto: grazie a questo ho imparato lo sci d'acqua».
Il rapporto col mare è sempre stato strettissimo...
«Così tanto da entrare sempre nel lessico quotidiano. A Lussino si vestiva sportivamente perché il mare insegna ad aiutare sempre chi è in difficoltà, anche solo ad attraccare».
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