Valentina Carnelutti tra i “Pazzi di gioia” di Virzì

L’attrice di origini friulane protagonista del film che è ispirato a Basaglia: «Non esiste confine fra normalità e follia»
Di Andrea Crozzoli

CANNES. È gentile, disponibile, colta, oltre che bella e raffinata Valentina Carnelutti, esattamente come il personaggio che interpreta in “La pazza gioia” di Paolo Virzì accolto ieri, alla Quinzaine des Realisateurs a Cannes, con grandi applausi. Nel film la Carnelutti è la psichiatra basagliana (in una inquadratura si vede nel giardino Marco Cavallo) che ha in cura Beatrice (una sorprendente Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella (Micaela Ramazzotti). «Il termine basagliano è così abusato oggi - dice appena arrivata da Roma - che lo lascerei proprio da parte. Nel film sono un medico con duplice finalità: quella sul piano psichiatrico e quella sul piano del reinserimento sociale. Il mio personaggio è una donna appassionata del suo lavoro; che vuole bene alle sue pazienti. Una entusiasta e coraggiosa». Anche se nel film, come consulente, ha collaborato Peppe Dell'Acqua, famoso psichiatra triestino, tutti i personaggi sono scritti da Paolo Virzì e Francesca Archibugi.

«La cosa fantastica è che Virzì - prosegue - lavora con le donne e crea personaggi non ad una o due dimensioni ma a tutto tondo. Questa è una cosa meravigliosa per un'attrice. Chiede agli attori di lavorare sul personaggio e non di esasperare quello che, magari, siamo nella vita. Se in Tutta la vita davanti ero una coatta, burina che lavorava come una pazza in un callcenter in La pazza gioia sono una persona culturalmente autonoma con tanti strumenti a disposizione. Una che può permettersi scelte coraggiose nel suo lavoro; che ha dei valori da trasmettere».

«I set di Paolo sono set allegri, dove si lavora sodo ma dove si respira un’aria leggera - prosegue la Carnelutti - che poi si riflette anche nel film e che si sviluppa in maniera binaria. Da un lato una situazione conflittuale che genera tensione e dall’altra un’aria stemperata dall’ironia e dalla leggerezza. In questo film, poi, è lampante come da una parte ci sia il tema della follia e della disperazione e dall’altro il tenue confine che separa, dalla cosiddetta normalità, i pazzi e i sani. Confine che non esiste». Il suo cognome tradisce una chiara origine friulana, il nonno Francesco è stato un famoso giurista udinese, così come la sua caparbietà e forza d'animo, difficilmente riscontrabili tra le sue colleghe. «Per pura passione parlo cinque lingue – dice - ma è anche un modo per mettermi nei panni degli altri, per avvicinare una cultura e la storia di un paese».

Valentina Carnelutti a Cannes è anche protagonista dell'unico cortometraggio in concorso per la Palma d'Oro “Il silenzio” degli iraniani Farnoosh Samadi e Alì Asgari. «Un piccolo film fatto solo con l’ entusiasmo delle persone, girato il giorno del mio compleanno – spiega - sulla difficoltà di una donna curda di dialogare con un medico italiano. Mentre noi cerchiamo di ritagliarci uno spazio per l’ombrellone d’ estate, negli stessi luoghi c’è gente che muore. Il silenzio è il modo giusto per accendere una piccola luce su questa questione». Sul vento del nordest italiano che spira quest'anno sulla Croisette precisa: «Non conosco personalmente Davide Del Degan e Alessandro Comodin, ma auguro alle loro opere di trovare una buona distribuzione in Italia. Il vero e grande problema del nostro cinema è la visibilità in sala».

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