Venti “Ecosfide” di veneti in fuga dal mondo cementificato

Fishing boat on the high seas. llustration
Fishing boat on the high seas. llustration



Sono spiriti liberi o spiriti semplici? Sono visionari o ingenui? Come definire la vecchina ultranovantenne che si mette girare il mondo a piedi passando da un santuario all’altro? O quel tale che un giorno, scendendo da una montagna, siccome gli faceva male uno scarpone se l’era tolto e da allora in montagna, sulle rocce del Kilimangiaro o sulla lava dell’Etna, ci sale solo scalzo? E ancora il tizio che parla agli alberi, ne fa creature bonsai e si è meritato l’ammirazione dei maestri giapponesi? Leggendo i ritratti di questa galleria di gente fuori dal comune non si capisce se ci sia più follia o più spirito da precursori ad animarli. Finiremo come la coppia che ha scelto di vivere su un rimorchiatore in mezzo alla laguna veneta, a poche centinaia di metri da San Marco? O come il pescatore che abita in un casone su uno dei canali di quel mondo di acque e cielo che i turisti ignorano e che sembra un quadro di Pietro Longhi?

I protagonisti di questa galleria di venti storie di terra, di acqua e di montagna, raccolta dal giornalista Vittorio Pierobon - per quindici anni alla vicedirezione del Gazzettino - in ‘Ecosfide’ (Ediciclo, 166 pagg., 15 euro) racconta un Veneto che, strapazzato da corbellerie urbanistiche venute su all’impazzata negli anni Ottanta, cementificato in un’unica colata che ha lambito le ville palladiane, reso grigio e anonimo dai capannoni, zitto zitto prende ora un’altra strada, solitaria, individualista. Scelte alternative nel rispetto della natura fatte da gente che sente vibrare la terra, che parla con le piante. Baroni rampanti come Pietro Maroè, che per potare i rami si appende con le corde come fosse su una parete delle Dolomiti o arboricoltori no profit come Christian Marcolin, che con la sua associazione Spiritus mundi pianta gli alberi a domicilio: un comune vuole rimboschire un pezzo di terra? Arriva lui e tac, ecco nascere un bosco.

Da queste storie sale un borbottio anarcoide, selvatico, da rivoluzionari senza partito. La società ha preso una strada fatta di plastica cemento e litio, e chi non ci sta coltiva la propria resilienza in silenzio. Gianfranco Guidolin cerca di salvarsi pedalando come un matto, in quindici anni ha percorso 170 km al giorno e conta di arrivare al milione nel 2024. Altri si danno alla fuga in montagna. In un secolo i boschi sono raddoppiati, si sono ripopolati di orsi, linci, sciacalli, spiega il forestale Zovi. Splendido? Non proprio, ora si lamentano i malgari e i contadini: temono che i loro animali diventino bocconi per i predatori. Vogliamo parlare di cinghiali? Reintrodotti per cacciarli, si sono moltiplicati e adesso attaccano per l’uomo e anche gli altri animali ne hanno paura. La natura non è buona né cattiva, fa quello che sa fare da sempre. È il Sapiens che deve ristrutturare il suo approccio con lei e i visionari di Ecosfide hanno scelto di seguire l’esempio del colibrì di una fiaba africana, che gettava l’acqua col becco per spegnere un incendio e a chi lo chiamava matto rispondeva: io faccio la mia parte. —

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