Viaggiare controvento in Urss

Dalla Ddr negli anni ’80 storie di giovani alla scoperta della Grande Madre
«Mi scusi, ma come faccio a sapere che lei non è una spia?». I russi della Repubblica sovietica giustificavano così la diffidenza con cui accoglievano i visitatori stranieri. Dopo i primi minuti però diventavano loquaci, molte bocche sigillate si aprivano davanti ai ragazzi della Ddr che giravano il paese con un precario visto di transito e due camicie nel tascapane. Si fidavano più degli stranieri, soprattutto se venivano dalla Germania buona e socialista, che della gente attorno.
“Viaggiare controvento. Viaggiatori illegali nell’Urss” (Keller, pp. 191, 15 euro)
di
Michael Beleites, Gabriel Berger, Gernot Friedrich, Wladimir Kaminer e Karsten Konig
, raccoglie le testimonianze di prima mano di questi incontri tra cittadini sovietici e giovani tedeschi che durante la Guerra Fredda non fuggivano verso i ricchi miraggi dell’Ovest, ma si mettevano in testa di scoprire l’Est.


Erano viaggi complicati. Negli anni ’80 un cittadino della Ddr poteva andare solo in Cecoslovacchia. L’Ovest e la Jugoslavia erano tabù. La Polonia e l’Unione sovietica erano visitabili solo in gruppi organizzati, con pullman mal funzionanti, guide svogliate, pellegrinaggi ai totem della rivoluzione e inevitabili soste ai negozi di souvenir dove comprare un posacenere-Lenin, un accendino-Lenin, una spilla con i capelli radi e il pizzetto, esclusivamente con valuta estera. Si cercava allora di ottenere un visto d’ingresso per paesi più lontani, tentando con la Cina o la Mongolia, per ottenere il diritto di transito in Russia. Spesso erano le guardie di confine più compiacenti a suggerire, a voce bassa, di provare a sconfinare in treno…


Le magnifiche ferrovie sovietiche! Con le vecchine alle stazioni che vendevano secchi di puré di patate, alcolici e calze fatte a maglia. Con i biglietti difficilissimi da acquistare e che non prevedevano il ritorno. Comprare i biglietti dall’estero invece era più facile e così partivano i ragazzi della Ddr, sperando che un biglietto in regola bastasse a far credere di avere in regola anche i documenti.


Partivano per curiosità, per spirito di avventura, per conoscere da vicino la Grande Madre di quel socialismo che in Germania sembrava ottuso e senza speranza. Una volta messo piede oltre confine smerciavano Bibbie illegalmente, raggiungevano le penisole del Baltico per vedere le migrazioni degli uccelli, procedevano in bicicletta, a piedi, o sul Troll (il mitico motorino della Ddr). Sottovalutavano la Stasi, non immaginavano esistessero dossier sul loro conto, che contenevano parole come “annientamento fisico e psicologico”, “impiego di falsi trattamenti medici”. Spesso la scampavano per un soffio.


E intanto giravano per la sorvegliatissima Urss. Vedevano con i loro occhi le scritte LAISVÉS LIETUVOJ!, libertà per la Lituania!, sui muri di Vilnius, cancellate poi nella notte dai galoppini del Kgb. Conoscevano dissidenti, militari e preti che dicevano messa nelle chiese adibite a musei dell’ateismo. Dividevano il treno con uomini che andavano a funghi dove qualche mese prima era caduta la pioggia di cesio di Chernobyl. Studiavano le nuove del cielo lituano e gli entusiasti pionieri di Crimea, il culto nazionalista di Stalin in Georgia, e capivano lentamente come in Unione sovietica il passato si mescolasse al presente, la propaganda con l’esperienza reale. «La mancanza di libertà era il grande segreto tenuto nascosto» scrive Gabriel Berger, uno dei viaggiatori illegali di questo libro. Eppure la società andava avanti e a modo suo funzionava. Per questo uno dei capitoli più divertenti è il “Piccolo ABC del turista sovietico” che aiuta il viaggiatore a capire qual era il particolare modo sovietico di gestire le vacanze e i momenti ricreativi. Va citato il fondamentale rito dei brindisi che procedeva (e procede a tutt’oggi) fino a quando la bottiglia in tavola non è finita: è d’obbligo menzionare le donne, l’amicizia, la patria e, se si è a corto di idee, i marinai. Non meno fondamentale è il concetto sovietico di “relazioni rigenerative”: poiché il governo autorizzava le vacanze a singoli dipendenti, escludendo quasi del tutto l’idea della vacanza in famiglia, si era sviluppata l’usanza dello scambio temporaneo di coppia, parte integrante dei viaggi e senza dubbio rigenerante. Accanto ai diari, questo libro sorprendente, unisce le fotografie di questi sconfinamenti clandestini. E a colpirci (e conquistarci) non sono i volantini dissidenti o le vecchie dallo sguardo duro e lo scialle attorno alla testa, ma quell’aria vasta e malinconica che conosciamo da sempre e non sapremo chiamare con nessun nome, l’aria dell’est.


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