Violenze naziste sul Litorale Adriatico

L'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione presenta oggi nella sede delle Acli di Trieste, alle 17.30 in via San Francesco 4/1, il volume di Giorgio Liuzzi “ Violenza e repressione nazista nel Litorale Adriatico”.
Il volume analizza la struttura di repressione e della strategia politico-militare che i comandi nazisti adottarono, dal settembre del 1943 sino agli ultimi giorni della guerra, nella Operationszone Adriatisches Küstenland, la zona più orientale d'Italia così ribattezzata dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943.
«Nel nostro paese - scrive Liuzzi - il periodo compreso tra l'8 settembre 1943 e maggio 1945 fu tristemente segnato da stragi, rappresaglie e singoli eccidi compiuti dalle forze armate tedesche o dalle forze collaborazioniste. L'Italia fu un teatro di guerra secondario, sia per gli Alleati che per la Wehrmacht; tuttavia, si trattò di una guerra lunga e difficile, che causò molte perdite e lasciò traumi di lunga durata soprattutto nella popolazione civile che ne fu gradualmente travolta da sud a nord. Questi tragici avvenimenti sono stati spesso oggetto della memoria locale e ricordati quindi nei luoghi in cui avvennero».
Il settantesimo anniversario della fine del conflitto e di molti di questi eccidi può essere ora l'occasione per rafforzare l'interesse degli studiosi e dell'opinione pubblica su tali temi. Così come l'insediamento nel marzo del 2009 di una commissione storica italo-tedesca, con il mandato di elaborare un'analisi critica della storia comune delle due nazioni durante la seconda guerra mondiale. L'istituzione di tale commissione fu annunciato per la prima volta il 18 novembre 2008, in una dichiarazione congiunta dei ministri degli Affari esteri di Italia e Germania, rilasciata proprio a Trieste in seguito alla visita al museo del campo di concentramento nazista della Risiera di San Sabba.
Tra le raccomandazioni della commissione si trovava il progetto di valorizzare la banca dati predisposta sugli atti di violenza compiuti in Italia dalle forze armate tedesche, progettando un atlante della violenza volto ad illustrare quali dimensioni avesse assunto in Italia la politica della violenza perseguita dal nazionalsocialismo e dalle unità collaborazionisti fasciste. Sullo sfondo il desiderio di «ricollocare più precisamente le stragi nella storia, ricostruendo le strutture di potere, le logiche e i condizionamenti culturali che le resero possibili, i comportamenti e le finalità dei vari protagonisti, l'evoluzione complessa della memoria dei sopravvissuti, le modalità con le quali la memoria comunitaria sia stata assunta, o esplosa, dal paradigma antifascista dell'Italia repubblicana». Su questa linea si colloca il nuovo volume.
Sul piano metodologico, Luizzi valorizza la microstoria. Ovvero, come scrive Luca Baldissara, «l'indagine approfondita su di un determinato case study, dal quale trarre elementi e materiali per una riflessione di carattere generale", non in senso "accumulativo", bensì "qualitativo"».
In questo caso lo studio consiste nella ricostruzione della strategia di occupazione delle forze tedesche e della "politica del terrore" che fu applicata nella lotta antipartigiana.
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