Vita di Sir Richard Burton l’esploratore diabolico innamorato di Trieste

Esce pubblicato da Comunicarte un volume miscellaneo che ripercorre la variegata biografia  dello studioso che tradusse per primo il Kamasutra e fu affascinato dalla civiltà islamica  

la recensione

Renzo S. Crivelli

«La processione fu regale. La bara era rivestita con la bandiera britannica, e dietro portavano il cuscino col simbolo cavalleresco di Burton e le sue medaglie. Poi seguivano una carrozza con una piramide di ghirlande…un reggimento di fanteria e il Governatore e le autorità di Trieste. Tutte le bandiere della città sventolavano a mezz’asta». Ecco, nel resoconto della moglie, Lady Isabel Arundell, il funerale di un grande personaggio vittoriano, Sir Richards Francis Burton, console britannico di Trieste, dove ha vissuto dal 1872 al 1890. La cerimonia funebre si tenne nella chiesa di Sant’Antonio Vecchio, in Cavana, e il corteo funebre contava più di 50 carrozze fra ali di folla. Ma perché tanti onori e sincero cordoglio per Burton? Innanzi tutto perché veniva commemorato uno dei più grandi intellettuali inglesi della seconda metà dell’Ottocento, un diplomatico, certo, ma vieppiù uno studioso, un linguista (conosceva almeno 17 lingue più una marea di dialetti nord-africani e indiani), un etnologo, un esploratore (ai tempi d’oro delle esplorazioni in Africa), un cultore della civiltà islamica, un traduttore dottissimo (introdusse al mondo anglo sassone importanti capolavori dell’erotismo islamico).

Ce n’era a sufficienza per riconoscergli un primato culturale immenso, depositato quasi per caso nella Trieste asburgica. Burton, infatti, fu in India come ufficiale e poi in Medio Oriente, specie a Damasco, come rappresentante del governo inglese, dove entrò in contatto con la realtà islamica e ne fu affascinato (fu tra i primi viaggiatori in incognito, nelle vesti del medico Mirzha Abdullah, ad entrare alla Mecca, luogo proibitissimo per gli occidentali), e, cosa ancora più affascinante, fu, con John Speke, lo scopritore del lago Vittoria, alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Uno studioso e, contemporaneamente, uno straordinario uomo d’azione, controverso nella sua personalità talvolta diabolica (si guadagnò il soprannome di “Dirty Dick”, molto più di…cattivello). Una strana commistione, come hanno scritto i suoi biografi, tra un monaco e un diavolo.

Burton è doppiamente legato a Trieste, sia perché abitò dapprima in un grande palazzo di piazza della Libertà (un intero piano con dodici stanze, molte arredate con referti della cultura araba) e poi a Palazzo Gossleth (ora Economo) sulla sommità del Promontorio, luogo dove, negli ultimi anni della sua vita, tradusse Le mille e una notte, il Kamasutra e il Giardino profumato, e redasse migliaia di appunti linguistici sui dialetti arabi.

A darci una visione molto ampia e accattivante di Sir Richard Francis Burton, esce ora un volume pregevolissimo: “Sir Richard Francis Burton, Trieste e l’esplorazione: gli itinerari del mondo”, edito da Comunicarte (pagg. 204, euro 20). Si tratta di pagine intense, variegate, appassionanti, che affrontano in modo nuovo molte delle sfaccettature della personalità e della vita dell’esploratore britannico.

Curato da Giovanni Modaffari e Sergio Zilli (nell’ambito del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università), contiene i contributi, in alcuni casi originalissimi, di Riccardo Cepach, Franco Farinelli, Federica Fontana, Susanna Moser, Sir Christopher Ondaatje, Orietta Selva, Dragan Umek, Mick Walton. Pagine vivificate da una messe di illustrazioni, tra cui molte inedite, come il ritratto di Burton ad opera di Rudolf Lehmann (di competenza della casa d’aste Christie’s), nonché le riproduzioni dei quadri eseguiti per lui da Albert Letchford, pittore quasi sconosciuto, inglese ma nato a Trieste nel 1866 da un macchinista del Llyod, e amico di Burton).

Ed ecco che, addentrandoci nella lettura di Sir Richard Francis Burton, Trieste e l’esplorazione, veniamo a conoscenza di un mare di informazioni affascinanti. E ne diamo conto di alcune: ad esempio comprendiamo perché Burton l’esploratore apre la strada alla cartografia della Modernità lasciandoci tante mappe (Farinelli), ci rendiamo conto che «egli è ostinatamente moderno, nella sua necessità di completare a un tempo l’Uomo e il globo» (Modaffari), abbiamo accesso ai luoghi più salienti del suo soggiorno triestino (Walton), vediamo Burton calato in un orizzonte cartografico in trasformazione, quando le carte erano ancora piene di “zone bianche” (Selva, Umak), ci immergiamo nella bibliografia dell’erotica burtoniana col rifiorire di pubblicazioni legate alla sessualità orientale (molti sono i testi riprodotti), sino ad avere accesso — e questo è il fatto più innovativo — ai pezzi di una collezione che Burton donò al Museo Winckelmann (non esposta) e ad una serie di lettere inedite di Sir Richard a Carlo De Marchesetti, allora direttore del Museo di scienze naturali.

Per finire con un saggio coinvolgente di Zilli, che abbina Burton e i suoi itinerari esplorativi a quelli del Corto Maltese di Hugo Pratt, che ne fu un estimatore. Perché Burton, pochi lo sanno, ha avuto e sta avendo un’incredibile fortuna nel campo dei fumetto con “Capitano sir Richard Francis Burton” serie “Gli esploratori della storia”, di Christian Clot e Lionel Marty, pubblicato da Editoriale Cosmo. —



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