Vita e opere di Renato Casaro l’ultimo grande cartellonista nato con la matita in mano

“The Last Movie Painter” di Walter Bencini è un omaggio al disegnatore di locandine da Burt Lancaster a Quentin Tarantino



«Il film è il mio hobby, il mio hobby è il mestiere, il mestiere è la mia vita, e la mia vita è un film. In technicolor e cinemascope». Una summa impeccabile e insieme la quadratura del cerchio, dove colui che ha raccontato con la sua arte il cinema per tutta la vita diventa a sua volta protagonista di un film: “The Last Movie Painter – L’ultimo uomo che dipinse il cinema” è il documentario seducente e nostalgico presentato dal Tsff (alle 16 Cinema Ambasciatori) che Walter Bencini dedica a uno dei più importanti illustratori di cinema viventi, Renato Casaro. Si tratta un’anteprima assoluta in collaborazione con Sky Arte: seguirà la messa in onda sul canale Sky il 23 gennaio. Bencini, che ha scritto e diretto il film, sarà presente in sala.

Quasi più noto negli Usa che in Italia, Renato Casaro da Treviso, classe’35, è ritenuto, come sostiene uno dei tanti intervistati illustri, «il più grande iperrealista del mondo che ha utilizzato la sua arte per i manifesti del cinema»: i quali, prima dei trailer, erano la carta d’identità di un film. ”Il tè nel deserto” , la trilogia del dollaro, “Balla coi lupi” , “L’ultimo imperatore”, “Terminator” sono solo alcune delle migliaia di mirabili locandine realizzate. «Non è uno che lavorava solo su commissione o per denaro: doveva avere un’ispirazione» puntualizza il produttore Aurelio de Laurentiis. «Creatore di personaggi palpitanti, gran senso del movimento» per Vittorio Cecchi Gori, «perfezionista fino all’ossessione, macchina piena di mille idee» per Carlo Verdone: tante e diverse le voci che si alternano stimolate da Bencini, da Dario Argento a Terence Hill (che facendo riferimento alla serie in coppia con Bud Spencer azzarda un «se non ci fosse stato lui forse non avremmo ottenuto quel grande riscontro che abbiamo invece avuto») a una gran penna come Goffredo Fofi. Testimonianze varie ma da tutte, oltre una stima incondizionata, emerge un affetto sincero. «Sono nato con la matita in mano, disegnavo sempre, imbrattavo tutto», esordisce Casaro accogliendo lo spettatore nel suo studio, iniziando a trascinarlo nel suo mondo evocandolo dagli inizi. Gavetta a 15 anni, a lavorare in una tipografia su lastre di pietra e zinco, poi la svolta a 17, a creare i sagomati per il cinema Garibaldi di Treviso, da mettere all’ingresso per richiamare pubblico: “Amanti latini” con Lana Turner e “L’ultimo apache” con Burt Lancaster i primi lavori, e insieme la soddisfazione di «far entrare gli amici la sera dalla porta di servizio». Non si fermerà più: a Roma nel’55 apre il suo studio privato a Cinecittà, più giovane cine-pittore d’Italia: ha 21 anni e si firma “C. René”. Con lui, sottolineano gli intervistati, è finito il mondo del cartellonismo. Eccezioni a parte: per “C’era una volta a… Hollywood” l’ha chiamato addirittura Tarantino, film per cui Casaro ha creato i poster vintage fittizi. Bencini immerge lo spettatore in questo magico mondo lungo un racconto prezioso e ammaliante. —



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