Vita, guerre e avventure del barbaro Stilicone il generale che salvò Roma

Nel saggio di Ian Hughes pubblicato dalla Leg di Gorizia uno spaccato del mondo antico in decadenza
Italy, Sicily, Piazza Armerina, mosaics of the roman villa of Casale, 3rd century
Italy, Sicily, Piazza Armerina, mosaics of the roman villa of Casale, 3rd century

La recensione



A una cinquantina di chilometri da Trieste, sulle alture intorno ad Aidussina, dove oggi sorge un famoso ristorante stellato, nel 394 d. C. si combatté quella che oggi si direbbe una battaglia di civiltà. Due eserciti, entrambi romani, quello dell’impero di Oriente e quello di Occidente, si fronteggiarono per conquistare il potere. Ma dall’esito della battaglia dipendeva un verdetto molto più importante: sarebbe stata la religione cristiana o l’antico paganesimo ad avere la meglio?

L’imperatore d’oriente Teodosio, spinto dal vescovo di Milano Ambrogio, aveva emanato diversi editti anti pagani e si scontrava con Eugenio, campione della vecchia religione. Passata alla storia come battaglia del fiume Frigidus, l’antico nome del Vipacco, coinvolse circa 100 mila soldati, di cui una parte non piccola era composta da federati barbarici e si concluse con la vittoria di Teodosio. Si disse che nembi di polvere, sollevati dalla bora carsica, accecarono l’esercito occidentale, che alla fine fu sopraffatto ed Eugenio, catturato, venne decapitato. Ma è probabile che a decidere le sorti della battaglia fu un reparto occidentale che si lasciò corrompere. Da quel momento il paganesimo, come forza organizzata, cessò praticamente di esistere. Sopravvisse ancora, e a lungo, come culto marginalizzato, specialmente nelle campagne. Il cristianesimo trionfò e la storia dell’Occidente prese la direzione nota.

Prima di morire, l’anno successivo alla battaglia, Teodosio nominò reggente dell’undicenne imperatore Onorio il generale Stilicone. Prendendo spunto dalla sua figura, lo storico britannico Ian Hughes ci porta in quel tempo di cambiamenti, crisi e punti di svolta. “Stilicone, il vandalo che salvò Roma”(Leg, pagg. 403, Euro 28,00) è una finestra su un mondo in cui Aquileia era ancora importante e tra l’Istria e il Norico passava la linea che divideva i due imperi eredi della potenza di Roma.

Stilicone per parte di padre era un barbaro. Apparteneva cioè a quelle genti germaniche, i Vandali, che si erano spostate nell’Europa centro orientale partendo dal Baltico. Sua madre invece era romana e doveva essere molto ben introdotta nella corte imperale perché Stilicone si trovò a correre un cursus honorum molto veloce. Militare come il padre, a poco più di vent’anni era portavoce dello stato maggiore imperiale, mentre intorno a lui il mondo romano era già diventato qualcosa d’altro. La decadenza era iniziata, l’impero era diviso, troppo grande era stato per non dover finire con una lunghissima e tribolata agonia. Secoli di grande confusione, in cui gli imperatori duravano anche pochi mesi, tolti di mezzo da congiure di palazzo. Fuori, le grandi vie consolari, le vitali arterie di comunicazione dell’impero, cominciavano a sgretolarsi sotto la spinta di migliaia di uomini in cammino: era un mondo in movimento, percorso da genti in fuga o in cerca di un avvenire migliore. Stilicone ebbe il merito, forse ingigantito da Claudiano, il suo panegirista, di difendere più volte Roma, prima dai Goti di Alarico, poi dall’usurpatore Costantino III. Finché morì, lasciando l’impero alla mercé di Odoacre, che depose Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore. –



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