Vittorio Sereni e la memoria “collettiva” di Anna Frank

Matteo Fantuzzi è un poeta emiliano, nato nel 1979. Ha esordito nel 2008 con “Kobarid” (Raffaelli) che ha meritato il Premio Camaiore e il Premio Penne Opera Prima. Nel 2017 ha pubblicato “La stazione di Bologna” (Feltrinelli), Premio Matteotti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È molto attivo anche come operatore culturale, si è occupato di poesia under 35 e ha curato l’antologia “La generazione entrante” (Ladolfi Editore) sui poeti nati negli anni Ottanta. La scrittura di Fantuzzi ha sempre un’ispirazione civile e segue un dettato realistico. Se in “Kobarid” ha raccontato la disumanizzazione determinata dal precariato, ne “La stazione di Bologna” narra appunto la più grande strage italiana del Dopoguerra. Il fine è preciso: la non dimenticanza per chi non c’era o per chi era ancora troppo piccolo per ricordare. Il focus del poema è la “normalità” di una qualsiasi giornata estiva, quella abitudinarietà serena fatta esplodere da una ferocia brutale. Ma il componimento contempla l’umanità tutta intera, trattenendo quindi anche i gesti di solidarietà, di partecipazione attiva alla schiacciante tragedia. Il suo consiglio: «Credo che oggi più che mai sia importante consigliare “Gli strumenti umani” di Vittorio Sereni e in particolare un suo testo “Dall'Olanda”. In questa poesia l'autore sta attraversando i canali di Amsterdam con alcune altre persone e ritrovandosi per caso davanti alla casa di Anna Frank una di queste si domanda per quale motivo tutti si ricordino solo di lei tra le tante vittime della Seconda Guerra Mondiale. È la risposta che dà Sereni in quella poesia ad avermi segnato: Anna Frank mantiene non solo la propria personale memoria ma quella di tutte le persone che hanno avuto lo stesso destino. Il ricordo in definitiva passa dai simboli ed è attraverso i simboli che si può ricostruire il senso della storia, si possono comprendere le barbarie e si possono cercare gli strumenti per ricercare una umanità che spesso nella quotidianità tendiamo a dimenticare, presi come siamo dalla difesa dei nostri piccoli averi e delle nostre piccole sicurezze che rendono tutto quello che ci terrorizza “straniero”, cioè estraneo». —



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