Voci di donne nel lager di Sumatra sono i canti della “sopravvivenza”

La casa di produzione Carmina Slovenica pubblica il cd firmato da Karmina Šilec Ottanta artiste di tutte le età riproducono il repertorio originale delle internate

Rossana Paliaga

Treblinka, Auschwitz, Kaiserwald, Westerbork: è lunghissima la lista di campi di concentramento nei quali si è sviluppata un'attività musicale. Nonostante orchestre e cori di internati siano testimoniati dalla storia, è sempre difficile immaginare che tante persone abbiano avuto il desiderio e il coraggio di fare musica nelle condizioni, sia fisiche che psichiche più inadeguate. Invece l'«inconsistenza» pratica dell'arte è stata molte volte il faro della resistenza e della speranza: lo hanno dichiarato anche alcune sopravvissute del campo giapponese di Palembang a Sumatra, dove la missionaria Margaret Dryburgh e la musicista Norah Chambers avevano fondato un'orchestra vocale femminile.

Per tre anni e mezzo in questo campo sono state internate donne prevalentemente europee, di diverse nazionalità. La storia della loro «orchestra» è stata raccontata in alcuni libri basati su testimonianze dirette e in due film (il docufilm Song of Survival e Paradise Road con Glenn Close).

L'omaggio più recente alla memoria di questi eventi è invece totalmente musicale e attinge al repertorio originale del gruppo, utilizzando manoscritti conservati in Olanda e trascrizioni fornite dal coro californiano Peninsula, che si è occupato in passato dell'argomento.

È uscito infatti in questi giorni il cd VOGP-Music of survival, prodotto da Carmina Slovenica (la maggiore casa di produzione slovena nel campo del teatro vocale) e porta la firma della direttrice Karmina Šilec, artista riconosciuta a livello internazionale per l’unicità dei suoi progetti concettuali di teatro e musica nel segno della “choregie”.

È un progetto tutto al femminile (caratteristica ricorrente nell’opera della Šilec, impegnata nella valorizzazione del ruolo delle donne nella storia), con un gruppo formato da circa ottanta donne di età diverse. Era intergenerazionale anche il gruppo di Palembang, ma le sue dimensioni più ridotte. Ne facevano parte circa trenta donne: cantavano sedute, perchè troppo deboli dopo giornate di lavori forzati, vessazioni, denutrizione, caldo tropicale. Avevano composto un inno, che cantavano domenica a messa. Il resto del repertorio lo preparavano per rare esibizioni. In occasione del concerto di Natale nel 1943 avevano indossato i vestiti che conservavano per la liberazione e avevano messo da parte lo scarsissimo cibo delle loro razioni giornaliere, per immaginare un rinfresco. Cantare era una necessità spirituale prima che artistica e lo hanno fatto finchè morte e inedia non hanno sterminato il gruppo.

Gli arrangiamenti prevedevano ben quattro voci e quindi un certo impegno per chi non aveva basi musicali. Su foglietti erano annotate a matita le parti, trascrizioni di celebri brani strumentali, sinfonici e cameristici, da cantare su sillabe: il Largo dalla sinfonia Dal Nuovo Mondo di Dvořák, preludi di Chopin, il Bolero di Ravel. Erano trascritti a memoria, per ricordare il mondo fuori e “immaginando di essere in una sala da concerto”, come aveva detto la Chambers nel suo benvenuto al primo concerto nel campo.

Il progetto VOGP ha riportato l'attenzione su questa vicenda con un cd che deriva da un concerto presentato due anni fa a Maribor e al Festival Musica Sacra in Alto Adige prima dell’interruzione obbligata della tournée, dovuta alla residenza della Šilec all’Università di Harvard (negli Usa ritornerà appena possibile per realizzare un progetto di teatro musicale a San Francisco, sulle vergini giurate dei Balcani).

L’esecuzione del repertorio dell’orchestra del campo di Sumatra da parte di donne in condizioni “normali” ovvero ottimali per il canto significa necessariamente offrire una versione vocalmente estetizzata, ma la scelta del suono pieno di un organico intergenerazionale, l’utilizzo delle fonti originali, come anche le interpretazioni, riconducono il progetto al senso del documento storico. Un’esperienza artistica che, a detta delle interpreti, è stata una riflessione sugli effetti sociali e psicologici della musica anche in situazioni estreme, sul valore della solidarietà e della tenacia nel mondo femminile, sulla “musica come garanzia del senso di un mondo sull’orlo della catastrofe.” —

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